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lunedì 29 settembre 2014

Guerriere

Guerriere di Elisabetta Ambrosi. Un bel libro da leggere, soprattutto da parte di noi maschi. Un libro che parla della battaglia quotidiana che fanno le madri per vivere la propria maternità, per combinare il lavoro con la cura dei figli. Una vera e propria guerra nella quale noi uomini, anche i più volenterosi e sensibili, sembriamo solo degli osservatori ONU che assistono alla battaglia delle proprie donne senza combatterla anche loro.
Il libro mi ha molto colpito perché, ogni giorno, vedo le guerriere raccontate da questo libro. Le vedo tra le madri degli alunni che arrivano trafelate ad accompagnare o a riprendere i propri bambini, che vengono a parlare con me o con gli insegnanti per segnalare un problema o una difficoltà del proprio figlio, che mantengono sempre però il sorriso e la serenità che occorre quando si ha a che fare con dei bambini che crescono. La crisi ha poi accentuato ancora di più le difficoltà e gli ostacoli da fronteggiare quotidianamente rendendo la maternità un lusso da conquistare con una dura lotta piuttosto che un diritto sancito da una legislazione avanzata che promette servizi che poi lo Stato non riesce ad assicurare.
E vedo le guerriere pure tra le insegnanti che quotidianamente si devono dividere tra il difficile, complesso, duro lavoro nelle classi e la cura dei propri figli, dei propri mariti, dei propri genitori anziani. E anche in questo caso non posso fare a meno di ammirarne la forza, l’energia e la passione “guerriera” che le anima.

Ma l’ammirazione non basta. Occorre che anche noi maschi iniziamo a combattere la guerra fianco a fianco delle nostre donne. È questa forse l’unica guerra che potrebbe aiutarci a diventare persone migliori.

sabato 27 settembre 2014

Ricordando Franca Falcucci



Il 4 settembre è venuta a mancare Franca Falcucci.
Penso che per molti dei lettori di questo blog Franca Falcucci sia - come la maggior parte dei politici della prima repubblica - un’illustre sconosciuta.
Per chi appartiene invece alla mia generazione, invece, rappresenta una parte importante della storia della scuola italiana. Franca Falcucci, infatti, è stato il primo ministro della Pubblica Istruzione donna. Ha ricoperto questa carica dal 1982 al 1987 in anni particolarmente turbolenti nel corso dei quali le sue scelte politiche furono ripetutamente oggetto di contestazione da parte degli studenti e dei sindacati.
Io vorrei ricordarla però soprattutto per il ruolo rivestito nella stesura di un importante documento del 1975, denominato proprio “Documento Falcucci”  che altro non era se non il risultato dei lavori di una commissione da lei presieduta che aveva il compito di delineare delle linee – guida per la realizzazione  di misure e modalità organizzative volte a realizzare l’inserimento dei bambini disabili nella scuola comune. Questo documento ha costituito il punto di riferimento per tutte le iniziative che sono state prese negli anni successivi e che hanno contribuito alla costruzione della “via italiana all’integrazione”.
Vorrei citare qualche passaggio di questo documento.
“La scuola proprio perché deve rapportare l’azione educativa alle potenzialità individuali di ogni allievo, appare la struttura più appropriata per far superare la condizione di emarginazione in cui altrimenti sarebbero condannati i bambini handicappati […] Il superamento di qualsiasi forma di emarginazione degli handicappati passa attraverso un nuovo modo di concepire e di attuare la scuola, così da poter veramente accogliere ogni bambino ed ogni adolescente per favorirne lo sviluppo personale, precisando peraltro che la frequenza di scuole comuni da parte di bambini handicappati non implica il raggiungimento di mete culturali minime comuni […]  Fondamentale è l’affermazione di un più articolato concetto di apprendimento, che valorizzi tutte le forme espressive attraverso le quali l’alunno realizza e sviluppa le proprie potenzialità e che sino ad ora sono stati lasciate prevalentemente in ombra.”
Una rilettura di questo testo può senz'altro aiutarci a riscoprire alcuni valori che in questi ultimi sono stati dimenticati o, quanto meno, sono stati messi in secondo piano. Si tratta di quei valori di civiltà che negli anni ’70 hanno segnato la stagione politica dei grandi cambiamenti del sistema scolastico italiano tra i quali l’integrazione degli handicappati (come si diceva allora) nella scuola di tutti rappresentava uno degli elementi fondamentali.
Le difficoltà odierne credo che siano il frutto proprio del venir meno di quella grande spinta innovatrice, non solo sul piano sociale e culturale, ma anche su quello didattico e pedagogico. Oggi si percepisce un “calo di tensione”, una mancanza di passione. Proprio di quella passione che animava invece la Falcucci e tutti gli altri che con lei hanno contribuito a rendere la nostra scuola e la nostra società più inclusive e perciò più giuste.

Grazie senatrice Falcucci!

giovedì 25 settembre 2014

Genitori ostaggi delle maestre?

Un altro articolo, sui rapporti tra scuola e genitori, che merita qualche riflessione.
Anche in questo caso c’è qualcosa che mi risulta sgradevole nei toni e nei contenuti.
 “Alle madri italiane non piace l'inserimento all'asilo nido e alla scuola materna, quelle due, eterne settimane di inizio anno durante le quali viene chiesto che un genitore si fermi insieme al bimbo”. Sarebbe facile ironizzare sul fatto che la giornalista ancora non sa che la scuola materna, ormai da molti anni, ha cambiato nome e si chiama adesso scuola dell’infanzia o che centri l’attenzione solo sulle madri e non anche sui padri.
Ma la questione credo che sia un’altra. Sembra, dall’articolo, emergere una contrapposizione tra le educatrici e le docenti della scuola dell’infanzia da un lato e i genitori dall’altro, contrapposizione nella quale ognuna delle parti difende i propri interessi: la difficoltà a gestire tutti assieme bambini non ancora abituati al distacco dalla famiglia contro i disagi del doversi assentare dal lavoro.
Le problematiche dei bambini restano sullo sfondo, appena accennate. Chiunque abbia un po’ di esperienza (e di buon senso) sa benissimo che ogni bambino (e ogni genitore) è diversissimo dall’altro e che i tempi dell’ambientazione risultano necessariamente molto differenti a seconda dei casi. Giocano naturalmente un ruolo molto significativo anche le tradizioni culturali della famiglia.
Non credo perciò che esista una ricetta uguale per tutti. Occorre piuttosto una buona dose di elasticità e di spirito di adattamento da una parte e dall’altra per aiutare davvero tutti i bambini (e tutte le mamme e tutti i papà) ad elaborare questo primo momento di distacco. Si tratta di uno di quegli eventi della vita del bambino e anche dei suoi genitori che rappresentano delle importanti fasi di crescita di cui ho parlato in un post precedente. Sarebbe un peccato, soprattutto per i piccoli, trasformarlo perciò in un evento carico di tensione e di malessere.

È proprio così difficile? Non credo proprio se al centro della nostra attenzione inseriamo le necessità del bambino e il suo bisogno di crescere.
Sul tema è intervenuto anche il ministro Giannini: poche battute strappate in una frettolosa intervista.

lunedì 22 settembre 2014

L'evoluzione dell'insegnante di sostegno: un libro che fa discutere

Merita attenzione uno degli ultimi lavori di Dario Ianes, dal titolo “L'evoluzione dell'insegnante di sostegno. Verso una didattica inclusiva”.

Chiunque abbia mai sentito nominare Dario Ianes sa che si tratta di uno dei maggiori esperti italiani nel campo dell’integrazione alla quale ha dedicato tutta la sua carriera professionale.
Il testo “smuove le acque” e rappresenta, in qualche misura, un approfondimento di un’opera uscita qualche anno fa alla quale Ianes ha collaborato. Si tratta del volume "Gli alunni con disabilità nella scuola italiana: bilancio e proposte"
In quest’opera veniva tratteggiato un bilancio critico dell’integrazione in Italia: ad un’appassionata difesa dei suoi valori e principi ancora attuali era affiancata un’analisi lucida dei suoi limiti e delle questioni irrisolte. Tra queste ultime veniva segnalata la figura dell’insegnante di sostegno e, in particolare, la delega quasi totale che a questa figura viene assegnata nella gestione dell’integrazione.
Veniva proposto un superamento dell’attuale impostazione di questa figura attraverso due meccanismi. Il primo consisterebbe nel trasformare l’80% di questi insegnanti in docenti curricolari a tutti gli effetti non collegati cioè a diagnosi o a certificazioni di disabilità di uno o più alunni, ma titolari del progetto educativo e didattico di tutti gli allievi. In questo modo il loro patrimonio professionale sarebbe realmente a disposizione di tutta la classe e consentirebbe di realizzare una didattica maggiormente inclusiva. Il secondo meccanismo riguarda il rimanente 20% dei docenti di sostegno che non diventerebbero curricolari ed assegnati perciò alle singole classi ma costituirebbero un ruolo di insegnanti altamente specializzati itineranti su più scuole alle quali dovrebbero fornire il proprio supporto di alta competenza.
Il testo di Ianes chiarisce ed approfondisce questa proposta presentandola in maniera articolata.
Credo sia superfluo sottolineare come questa proposta abbia scatenato un notevole dibattito.
Segnalo, a titolo di esempio, l’articolo di Salvatore Nocera comparso su superando.i
La cosa che mi ha maggiormente colpito è stato il fatto che le opinioni contrarie siano state più numerose (ed aggressive..) di quelle favorevoli. Eppure io credo che i principi ispiratori siano condivisibili. I docenti di sostegno (soprattutto quelli con una lunga esperienza professionale) possiedono un sapere che potrebbe costituire una risorsa fondamentale per realizzare una scuola davvero inclusiva la quale, come ben sappiamo, ha bisogno che siano principalmente i docenti curricolari a possedere una formazione adeguata in materia di Bisogni educativi Speciali. Ma l’esperienza ci insegna anche che in presenza di disabilità molto specifiche (minorazioni sensoriali, disturbi dello spettro autistico, ecc.) occorrono competenze professionali di alto livello che non sarebbe realistico ritenere in possesso della maggioranza di un consiglio di classe che perciò avrebbe bisogno di un supporto qualificato.
La questione è comunque molto complessa ma credo che meriti una discussione priva di pregiudizi.
Inutile dire quanto mi appassioni. Ho fatto per più di vent’anni il mestiere di docente di sostegno, mestiere che ho amato e del quale ho vissuto tutte le soddisfazioni ma anche tutti i limiti.
Vorrei concludere con un consiglio di lettura: si tratta del testo di Carlo Scataglini, Il sostegno è un caos calmo. E io non cambio mestiere: è uno dei più bei libri sulla scuola che ho letto in questi ultimi anni.

domenica 21 settembre 2014

A proposito di inclusione

Capita a volte che un’espressione, una frase all’interno di una conversazione illumini un’idea che avevamo già da tempo, che avevamo già percepito ma che non riuscivamo ancora ad esprimere.
Qualcosa di simile mi è capitato qualche giorno fa. Due genitori sono venuti a ringraziarmi per come era stato accolto il proprio figlio disabile all’interno della nostra scuola. Mi hanno, in particolare, detto che erano rimasti molto colpiti e commossi dal comportamento spontaneo delle docenti che non hanno avuto bisogno di tante spiegazioni e suggerimenti su come loro stesse e la classe  avrebbero dovuto comportarsi all’ingresso del bambino: con la massima naturalità lo hanno fatto entrare nell’aula e lo hanno  inserito nelle varie routine e nelle varie attività facendolo sentire come se da sempre fosse parte integrante di quel gruppo.
Le parole di quei genitori hanno portato alla mia consapevolezza alcune idee che già da tempo mi giravano per la testa ma che non ero ancora riuscito ad esprimere bene. La prima è che l’inclusione consiste in un modo d’essere piuttosto che in una serie di misure organizzative e di precetti comportamentali. 
La seconda riguarda il “clima” della scuola – intendendo per clima non certo le precipitazioni e la temperatura ma le relazioni tra i bambini, tra gli adulti e tra questi e i bambini. È la qualità di queste relazioni che rende inclusiva o non inclusiva una scuola. 
La terza idea concerne, infine, la cultura di una scuola: è costituita da quelle convinzioni, spesso inconsce, che influiscono sulle relazioni e sui comportamenti, che forniscono loro i significati con i quali i membri della comunità (alunni, docenti, ATA, genitori) li interpretano. La cultura di una scuola è diversa da quella di un’altra, si forma nel tempo, condiziona in maniera determinante il clima che si respira.

I genitori con cui ho parlato mi hanno fatto capire che nella loro percezione la scuola che dirigo si sta dimostrando davvero inclusiva. È uno dei migliori complimenti che abbia mai ricevuto per la mia attività professionale. Ma il merito non è solo mio: è soprattutto del personale docente ed ATA, dei bambini e di tutti i genitori che sono convinti che una scuola davvero inclusiva sia la migliore per i propri figli.

venerdì 19 settembre 2014

Valutare i docenti?


Vorrei tornare sul tema della carriera dei docenti così come viene presentata nel documento “La buona scuola”.
Una premessa. Occorre, a mio parere, fare una distinzione tra i principi – guida del documento e le loro concrete modalità di realizzazione. Si tratta cioè innanzitutto di capire se tali principi sono condivisibili (tutti, alcuni, in parte, del tutto, per niente, ecc.) e, poi, ragionare su come metterli in pratica discutendo perciò sulle varie alternative e possibilità. La distinzione è fondamentale perché, altrimenti, non si capisce bene su cosa si ragiona.
Sul tema della valutazione dei docenti – che occupa gran parte del secondo capitolo del documento - suggerisco, in particolare, la lettura di due interventi: il primo di Giancarlo Cerini e il secondo di Stefano Stefanel.
In entrambi gli interventi emerge una sostanziale condivisione del principio della necessità di riconoscere il merito degli insegnanti migliori e di pensare ad una carriera fatta non di automatismi impiegatizi ma di riconoscimenti professionali.
Stefanel nel suo intervento ritiene che, comunque, il dirigente debba avere un ruolo nel processo di valutazione degli insegnanti e propone, quale base fondamentale, la reputazione del docente da individuare e apprezzare attraverso questionari da somministrare a studenti, famiglie, colleghi.
Dall’intervento di Cerini emerge, invece, una maggiore attenzione per la documentazione dei crediti connessi con la didattica.
Condivido anche io l’ispirazione di fondo del documento e, perciò, vorrei piuttosto riflettere sulle metodologie e sugli strumenti della valutazione del merito.
Credo che il pericolo maggiore in ogni proposta di valutazione degli insegnanti consista nel perdere alcune di quelle che sono le caratteristiche più importanti della professionalità docente. Ad esempio: se la logica premiale fosse centrata sulla competizione individuale allora verrebbero disincentivate la collaborazione, il lavoro in team, la collegialità. Analogamente se venissero valorizzate solo le attività al di fuori della classe (coordinamento di gruppi di lavoro, cura dei rapporti con enti esterni, ecc.) risulterebbe di scarsa significativa – ai fini della carriera - l’attività quotidiana nella classe con i ragazzi.
C’è il rischio, perciò, di innescare tra i docenti processi che potrebbero portare non ad un miglioramento ma ad un peggioramento della qualità dell’insegnamento.
Ritengo pertanto che sia necessaria una riflessione molto attenta su cosa prendere in considerazione e su come documentarlo e valutarlo. Un buon punto di partenza credo che possa essere costituito dalle esperienze che, sia pur in numero limitato, sono state svolte in passato. Tra queste mi permetto di segnalarne un paio che si sono svolte nel nostro territorio.
La prima, frutto del progetto “Scuola e cultura della valutazione”- fortemente voluto dall’allora direttore generale dell’USR Abruzzo Carlo Petracca, ha visto la realizzazione di una serie di ricerche azione sui temi della valutazione: la valutazione d’istituto, la valutazione delle competenze, la valutazione del comportamento e, appunto, la valutazione della professionalità docente. Chi scrive ha fatto parte del comitato scientifico che ha realizzato la stesura delle linee – guida per la realizzazione della ricerca – azione su questo tema che è stata condotta da una rete di scuole abruzzesi con capofila l’Istituto Comprensivo di Pianella. Al termine della ricerca è stato realizzato e sperimentato un modello di portfolio della professione docente, modello che è stato adottato, con opportune modifiche, anche per la valutazione dell’anno di prova dei docenti neo – assunti. Non mi risulta, purtroppo, che siano disponibili in rete i materiali di questo progetto.
La seconda esperienza, condotta nell’ambito del Progetto TQM Teacher and Trainig Quality Management, ha visto impegnati vari soggetti tra cui l’UNIDAV, l’USR Abruzzo, l’Udanet, l’Invalsi. Il progetto ha avuto come finalità quella di confrontare i sistemi di valutazione dell’insegnamento in vari paesi e di costruire ed utilizzare un portfolio elettronico da utilizzare come strumento per la crescita professionale dei docenti.

Non partiamo, perciò, da zero su questi temi. Una discussione seria e costruttiva, perciò, è possibile. 

mercoledì 17 settembre 2014

A proposito di docenti



Ancora una volta un’interessante puntata di Fahrenheit pone stimolanti elementi di riflessione.
Cosa fa buona la scuola? I bravi maestri? Le metodologie efficaci? L'impegno e i sogni di chi studia? 
La discussione è centrata sulla professione dell’insegnante con l’intervento di una prossima laureanda in Scienze della Formazione Primaria, di un insegnante della primaria (Carlo Lorenzoni che noi conosciamo bene come animatore della casa laboratorio di Cenci) e di un docente universitario di Storia della Pedagogia e dell’Educazione.
Qualche tema: per fare bene un lavoro occorre la passione. Se non la si possiede o la si è persa sarà molto difficile riuscire a stimolare l’apprendimento presso gli alunni. I bambini sono molto più recettivi ai linguaggi non verbali rispetto a quello verbale per cui percepiscono benissimo se la persona che hanno di fronte svolge la sua attività con entusiasmo e convinzione. Del resto, poi, l’emozione provata la prima volta che ci si accosta ad un apprendimento ne condiziona in maniera molto forte gli esiti futuri.
Altro spunto: la scuola deve essere migliore della società. Non deve esserne, cioè, un semplice specchio ma deve essere più tollerante, più equa, più accogliente, più inclusiva. Ma, comunque, non sono solo la scuola e gli insegnanti ad educare ma anche il contesto e l’ambiente rivestono un ruolo determinante. Quale cura e quale interesse nei suoi confronti può percepire un alunno se si trova in una scuola con i muri sporchi, con le suppellettili e gli arredi degradati, in un contesto di abbandono e di trascuratezza? Ma di questo ho già parlato nel mio post di ieri.
Un intero capitolo (il secondo) de “La buona scuola” è dedicato alla questione degli insegnanti. Mi sembra di capire che ci sia sicuramente la volontà di rimotivare gli insegnanti (far loro ritrovare cioè la passione per il proprio lavoro) attraverso il riconoscimento del merito. Il principio mi sembra condivisibile perché l’appiattimento sulla progressione di carriera basata solo ed esclusivamente sull’anzianità di fatto ha prodotto demotivazione e stagnazione. Il problema principale, credo, consista nel come riconoscere il merito. Il documento (pag. 52) propone tre sistemi di crediti da documentare in un portfolio e da valutare da parte di un nucleo di valutazione interno alla scuola: crediti didattici, crediti formativi e crediti professionali.
Penso che vada apprezzato il fatto che sono considerati i crediti didattici, vale a dire quelli che concernono “la qualità dell’insegnamento in classe e alla capacità di migliorare il livello di apprendimento degli studenti. Contribuiranno a far emergere le migliori prassi di insegnamento, assicurando innovazione didattica e, allo stesso tempo, attenzione per le specificità disciplinari”.
Si tratta, insomma, della quotidianità del lavoro di classe, di quello che si fa con i ragazzi, dei risultati educativi e didattici che si raggiungono.
Sono numerosi però gli interrogativi, che riguardano molto il “come” valutare questi crediti. Da chi sarà composto il nucleo di valutazione? Quale ruolo avrà il dirigente scolastico? Come potranno essere documentati questi particolari crediti? Con i lavori dei ragazzi? Con una relazione? È giusto valutare il singolo docente o forse sarebbe meglio valutare il team docente dal momento che si dovrebbe lavorare in squadra e non individualmente?
Vedremo se dalla discussione avviata, alla quale tutti possono partecipare, usciranno delle proposte praticabili.

Cercherò, nei prossimi giorni, di portare un mio contributo riprendendo gli esiti di una ricerca che qualche anno fa ha svolto l’USR Abruzzo sul tema della valutazione dell’insegnamento.

martedì 16 settembre 2014

Chi sporca e chi pulisce le scuole




Brutta sorpresa stamani. Nella notte qualche stupido ragazzaccio ha imbrattato, con le bombolette spray, muri e finestre della primaria “Villaggio Celdit” con scritte incomprensibili per i comuni mortali.
La delusione è tanta perché gli autori del gesto sono, evidentemente, dei ragazzi e spiace molto che abbiano imbrattato l’ambiente dove quotidianamente si recano i loro fratellini e le loro sorelline e dove si recavano anche loro quando erano più piccoli. 
Come spiegare ad un bambino il significato di quell'imbrattamento? Come dare senso al fatto che qualcuno si sia divertito a sporcare il luogo dove loro passano gran parte della loro giornata? Forse nel gesto dello sporcare c’è rabbia e dispetto verso il mondo degli adulti. Ma è così difficile capire che sporcare una scuola primaria è in realtà un dispetto verso i bambini che la frequentano?
Ma per fortuna non ho sperimentato solo questo in queste ultime giornate tra l’estate e l’autunno. Ho avuto anche la fortuna e il piacere di vedere adulti prendersi cura della pulizia e del decoro della scuola.
I collaboratori scolastici, innanzitutto. Hanno rimesso a nuovo le scuole prima dell’apertura. In qualche caso hanno dovuto pulire e cerare interamente il pavimento del plesso: è stato un lavoro faticosissimo ed estremamente complicato perché alcuni di quei pavimenti, credo, non erano stati mai finora trattati con i prodotti e con gli strumenti adeguati. Hanno tinteggiato pareti, spostato banchi e sedie, arredi e suppellettili per rendere accogliente la scuola. Ho visto nel loro impegno tanta passione, tanto desiderio di fare le cose per bene, tanta soddisfazione nel riuscire, con grande fatica, ad ottenere il risultato desiderato.
Le maestre e il maestro (l’unico…) poi. È un piacere vedere l’attenzione che pongono nella predisposizione dell’ambiente di apprendimento, nella cura con la quale scelgono la disposizione dei banchi, degli arredi, dei cartelloni e dei materiali. Da loro ho imparato quanto sia importante il setting dell’aula, l’organizzazione degli spazi, dei tempi, delle routine, delle relazioni nella classe. Anche loro si sono messi all'opera prima dell’apertura della scuola dedicando tempo e impegno ben al di la del proprio orario di servizio.
E, infine, i genitori. Ogni volta sono commosso dall'entusiasmo con cui accolgono la nostra richiesta di aiuto, dall'impegno che mettono nel dedicare parte del proprio tempo libero alla pulizia ed alla tinteggiatura delle aule dei propri figli. Apprezzo soprattutto il clima di festa che si viene a creare quando nella scuola i genitori vengono a tinteggiare le aule, clima contagioso che si trasmette anche ai bambini e al personale della scuola.
Sono queste le cose che danno senso al mio lavoro di dirigente scolastico e me lo fanno amare, nonostante tutto.

Grazie di cuore a tutti voi!!

domenica 14 settembre 2014

Genitori e bambini il primo giorno di scuola

(immagine da la Scansione.net)

Leggo sul blog “Scuola di vita” un post dal tono sgradevole che commenta qualcosa che constato da tanti anni: l’emozione dei genitori quando accompagnano i propri figli il primo giorno di scuola primaria. Anche io ho visto spesso mamme e papà commossi ma non credo proprio che l’interpretazione giusta sia quella che viene fornita da chi ha scritto il post (“… dietro ai lacrimoni genitoriali c’è forse anche una generazione un po’ immatura, che si mostra appunto fragile e vulnerabile piangendo a dirotto al posto dei bambini e rubando in qualche modo un ruolo che spetterebbe a loro”).
L’ingresso nella primaria, infatti, rappresenta un importante momento di passaggio per il bambino che inizia un percorso nuovo, molto importante per lui. Anche se la grande maggioranza dei bambini italiani – come proprio in questi giorni ci segnala l’OCSE - ha già vissuto un’esperienza pluriennale nella scuola dell’infanzia, l’ingresso nella nuova realtà costituisce comunque una “rottura” rispetto al passato, un evento che segnala il passaggio ad una fase diversa della vita. Si entra, infatti, nella scuola del leggere e dello scrivere, del far di conto, delle acquisizioni degli strumenti che danno accesso al sapere codificato. Si conoscono nuovi compagni, nuovi adulti. Ci si accosta ad un ambiente di apprendimento strutturato in maniera molto diversa rispetto a quello del passato, con spazi più grandi, con tempi più scanditi, con regole differenti. Il bambino deve affrontare dei nuovi compiti di sviluppo nei quali la scuola svolge un ruolo cruciale: acquisire competenze importanti per il suo futuro, cominciare a passare dal mondo della famiglia a quello dei pari, scoprire il piacere dell’attività intellettuale, dell’essere produttivi, dell’imparare qualcosa per sviluppare un senso di competenza.
Le scuole, con i propri percorsi di continuità, aiutano i bambini nel passaggio tra le due realtà, ma le differenze tra infanzia e primaria restano e credo che sia giusto così perché si cresce solo se si vive e si prova il cambiamento. Il bambino è consapevole del fatto che deve sostenere la sfida del nuovo che l’attende e la vive con un misto di curiosità, fiducia e preoccupazione. Per questo è importante che gli adulti (docenti e genitori) gli siano vicini in questa fase, rassicurandolo e sostenendolo. Questo ci aiuta a capire perché sia necessario ritualizzare il primo giorno di scuola, trasformarlo in una festa, inserirlo cioè in una narrazione che aiuti il bambino a viverlo serenamente, con la presenza incoraggiante e protettiva degli adulti.
Ma questo evento rappresenta un importante momento di passaggio anche per i genitori.
Io credo che essere genitori sia un lungo, continuo e ininterrotto apprendistato per imparare l’arte di essere madre e padre, che sia un processo attraverso il quale si impara a prendersi cura e a rispondere in modo adeguato ai bisogni dei figli. Bisogni che sono estremamente diversi e che cambiano a seconda della fase evolutiva: non si può essere genitori sempre allo stesso modo perché è necessario assolvere impegni differenti e adottare modalità comunicative e interattive diverse secondo l’età dei figli. Tutto ciò implica, perciò, la capacità dinamica di “rivisitare” continuamente il proprio stile educativo, affrontando in modo funzionale i cambiamenti che la vita e la crescita dei figli portano con sé. Si deve crescere continuamente perciò anche come genitori accompagnando i propri figli nel loro percorso di maturazione e assumendo nuove responsabilità e nuovi compiti.
L’ingresso del proprio figlio nella primaria modifica perciò anche il loro ruolo perché d’ora in poi avranno a che fare con un bambino che ha bisogno di nuove cure ed attenzioni. Dovranno aiutare i figli ad avere una maggiore consapevolezza di sé, delle proprie capacità e risorse, a saperle utilizzare, esprimere, controllare, a saper vivere e condividere con gli altri. Anche per i genitori, cioè, inizia una nuova sfida posta dal cambiamento.
È perciò giusto e comprensibile che anche loro siano emozionati nel vivere questo momento, questo rito. Ed è normale che queste emozioni si manifestino anche esteriormente perché non ritengo che ci si debba vergognare delle emozioni che si provano. Non mi ritrovo proprio perciò con chi vede nella loro commozione un comportamento da immaturi bamboccioni. Lo considero piuttosto un giudizio grossolano e offensivo.
Da parte mia, piuttosto, cerco tutti gli anni di essere presente nelle classi prime il primo giorno di scuola perché ritengo che sia importante per un dirigente scolastico salutare non solo i bambini ma anche i genitori ed augurare ad entrambi un felice e sereno percorso nella scuola primaria.
Buon anno scolastico a tutti!

giovedì 11 settembre 2014

La buona scuola e la tecnologia

Credo che sia opportuna una lettura attenta del documento "La buona scuola" per riflettere sui numerosi temi che ne costituiscono l'ossatura e anche per partecipare informati e consapevoli alla consultazione che si terrà a partire dal prossimo 15 settembre.



Un primo interessante spunto di riflessione è sicuramente offerto dal capitolo 4 dal titolo Ripensare ciò che si impara a scuola”.
Viene qui proposta (pag. 97) la realizzazione di un piano nazionale che preveda l’introduzione del coding (la programmazione) nella nostra scuola. Si tratta di una novità importante che vorrei sottolineare: i nostri ragazzi - piuttosto che semplici fruitori del digitale – dovranno diventare produttori digitali, in grado cioè di programmare le macchini piuttosto che esserne programmati. Nel testo si parla anche di “consapevolezza digitale”, di “uso positivo e critico dei social media e degli altri strumenti della rete”.
A mio parere si tratta di una piccola rivoluzione che ha il grande merito di riprendere alcuni dei più interessanti elementi di riflessione critica che sono stati prodotti negli ultimi anni. Mi riferisco, ad esempio, ai lavori di DouglasRushkoff (il più significativo dei quali ritengo che sia “Programma o sarai programmato”) che ci avverte dei condizionamenti profondi che l’utilizzo passivo delle nuove tecnologie produce sulle nostre vite. “È una faccenda molto importante. Non è come saper aggiustare un’automobile; è piuttosto paragonabile al saper guidare un’automobile, o a guardare fuori dal finestrino. Se non sai niente di programmazione, allora sei seduto nel retro della macchina e devi confidare nel fatto che chi guida ti porti dove veramente vuoi andare. E visto chi sta alla guida dell’automobile oggi, io non penso che le cose stiano così.” (DouglasRushkoff e l’importanza del codice sorgente)
Imparare a programmare, quindi, riveste un’importantissima valenza educativa se veramente vogliamo creare dei futuri cittadini liberi e consapevoli.
Ma c’è un secondo filone di riflessione che vorrei sottolineare ed è quello che fa capo alle ricerche di Seymour Papert. “È il bambino che deve programmare il computer e non il computer che deve programmare il bambino”. Il computer è una potente macchina per imparare se utilizzata in modo costruttivo, se cioè consente al bambino di essere costruttore del proprio apprendimento. Ed è proprio sulla base delle sue proposte che già dagli anni ottanta la programmazione (il coding) era stata introdotta nella scuola. Qualcuno forse ricorderà il Logo, il linguaggio di programmazione ideato proprio da Papert, che è stato utilizzato per anni dai bambini della primaria. Che fine hanno fatto queste attività? Che eredità hanno lasciato?
Un’ ultima considerazione, sempre a proposito delle tecnologie nella scuola. Leggo a pag. 74 de “La buona scuola”: “Il processo di digitalizzazione della scuola è stato troppo lento, non solo per mancanza di risorse pubbliche. Abbiamo anche investito in tecnologie troppo “pesanti”, come le Lavagne Interattive Multimediali (le famose “LIM”), che hanno da una parte ipotecato l’uso delle nostre risorse per innovare la didattica, dall’altra parzialmente “ingombrato” le nostre classi, spaventando alcuni docenti.”

Condivido questa considerazione anche e soprattutto perché sono convinto che le LIM siano, fondamentalmente, della macchine per insegnare – utili cioè principalmente al lavoro di spiegazione del docente - mentre i nostri ragazzi hanno bisogno soprattutto di macchine per imparare. Di dispositivi, cioè, che possano utilizzare individualmente e in modo costruttivo.
Su questi temi segnalo la puntata di Radio3 Scienza con interventi di Piergiorgio Odifreddi, Marco Montanari e Leonardo De Cosmo.

mercoledì 10 settembre 2014

Uno sguardo sull’istruzione 2014 – luci ed ombre del sistema scolastico italiano

Sono stati resi noti i risultati dell’indagine OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) Education at Glance (Uno sguardo sull’istruzione )2014.

Si tratta di una vera e propria fotografia dei sistemi scolastici di 34 Paesi membri dell’OCSE e di un certo numero di Paesi G20 e partner dell’OCSE confrontati attraverso l’analisi di una serie di indicatori comuni che ne descrivono le caratteristiche più importanti e significative.
Il rapporto dell’indagine  è racchiuso in un ponderoso volume di 570pagine ricche di dati, grafici e tabelle di non agevole lettura. È possibile, comunque, consultare anche una breve sintesi che riassume i principali dati relativi al sistema scolastico del nostro paese.
La AssociazioneTreeLLLe ha organizzato martedì scorso un incontro nel corso del quale ha analizzato e commentato appunto i dati riferiti all’Italia.
Questa analisi fornisce alcuni spunti molto interessanti.
Innanzitutto emerge che l’Italia è tra i paesi più avanzati per quanto riguarda l’accesso all’istruzione preprimaria (scuola dell’Infanzia).  Il 92% dei bambini di 3 anni di età è iscritto alla scuola dell’infanzia (preprimaria), rispetto alla media del 70% per l’area dell’OCSE. I tassi d’iscrizione crescono fino a raggiungere  il 96% per i bambini che hanno compiuto 4 anni. Tali tassi sono tra i più alti osservati nei Paesi dell’OCSE. Il dato è molto importante perché la ricerca internazionale ha dimostrato che la frequenza della scuola preprimaria costituisce un fondamentale fattore di successo scolastico. Detto in altri termini: se un bambino frequenta la scuola dell’infanzia ha meno probabilità di incorrere in un insuccesso scolastico nel prosieguo dei suoi studi.
Il dato più positivo per l’Italia è comunque il miglioramento, recente, della qualità  dell’istruzione di base. L’Italia è uno dei tre paesi dell’OCSE  –  con la Polonia e il Portogallo -  ad aver ridotto tra il 2003 e il 2012 la quota di quindicenni in grave difficoltà in matematica (si è passati da un giovane su tre a un giovane su quattro), e al contempo aumentato la quota di quindicenni nella fascia alta di competenze. Un miglioramento che non ha richiesto risorse aggiuntive: l’Italia è infatti l’unico paese ad aver ridotto, tra il 2000 e il 2011, la spesa pubblica per l’istruzione primaria e secondaria.
Complessivamente negli ultimi 15 anni il numero di diplomati e laureati è aumentato, specie tra le donne, ma rimane inferiore alla maggior parte degli altri paesi dell’OCSE. Infatti tra il 2000 e il 2012, la percentuale di laureati nella fascia di età tra i 25 e i 34 anni è cresciuta dall’11% al 22%, e tra i nuovi laureati si contano il 62% di donne. Il tasso medio di laureati  tra i 25-34enni nell’area OCSE, che comprende i diplomati di percorsi di studio professionalizzanti di livello terziario, è, invece, del40%.
Il vero gap però è nel livello medio di preparazione. Nonostante alcuni segnali di miglioramento incoraggianti, il livello medio dei giovani italiani in comprensione dei testi scritti (lettura) e nelle prove matematiche dello Studio OCSE sulle Competenze degli Adulti (PIAAC) resta basso rispetto agli  altri Paesi dell’area OCSE. I giovani laureati Italiani (25-34 anni), per esempio, raggiungono appena il livello di competenze di lettura e matematiche dei loro coetanei senza titolo di studio terziario in Finlandia, in Giappone o nei Paesi Bassi. Anche tra i quindicenni, l’indagine PISA misura un livello medio in matematica e lettura inferiore alla media OCSE.
Ma l’aspetto forse che desta maggiore preoccupazione è rappresentato dal forte calo di aspettative nei confronti dello studio. Le difficoltà cui fanno fronte i giovani italiani per trovare un lavoro rischiano di compromettere gli investimenti nell’istruzione. Con le sempre maggiori difficoltà incontrate nella ricerca di un lavoro, la motivazione dei giovani italiani nei confronti dell’l’istruzione è diminuita. I tassi d’iscrizione all’università in Italia hanno segnato una fase di ristagno o sono diminuiti negli anni più recenti e il numero di studenti che abbandonano precocemente gli studi ha smesso di diminuire dopo il 2010.

Sorge spontanea una domanda: riusciranno i provvedimenti della “Buona scuola” a invertire la rotta?

martedì 9 settembre 2014

Una nuova proposta di legge sull'inclusione

È stata presentata, durante la festa nazionale del Pd sulla scuola a Orvieto, una proposta di legge elaborata dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) una proposta di legge sull’inclusione degli alunni disabili che si pone tra le sue principali finalità quella di superare la delega all’insegnante di sostegno, di superare il contenzioso tra scuole e famiglie e di investire sulla formazione di tutti i docenti. Non è stato ancora reso noto il testo completo e dettagliato della proposta non è possibile esprimere una valutazione completa su di essa. Credo però che non possano non esserne pienamente condivise le linee – guida.

Questi, in sintesi, i punti salienti della proposta così come presentati in un articolo di “Redattore Sociale”.

Presa in carico del progetto di inclusione da parte di tutti i docenti curricolari. Questo obiettivo, che fa da sfondo all’intera proposta,è da realizzarsi “attraverso una partecipazione corresponsabile alla predisposizione, all’attuazione e alla verifica del Piano Educativo Individualizzato” e “l’obbligo di formazione iniziale ed in servizio per i dirigenti e per i docenti sugli aspetti pedagogico-didattici ed organizzativi, dell'inclusione scolastica”. Nell’articolo 1 si prevede anche la “garanzia della somministrazione di farmaci in orario scolastico agli alunni per i quali l'autorità sanitaria ne prescriva le modalità” e “l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni scolastiche, sanitarie e sociali necessarie a realizzare l’inclusione scolastica”. Gli stessi obiettivi e principi vano estesi agli alunni con Bisogni educativi speciali (Bes) 

Comitato interministeriale. Si prevede l’istituzione, presso la presidenza del Consiglio dei ministri, senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato, del Comitato dei ministri per l'indirizzo e la guida strategica in materia di tutela dei diritti delle persone con disabilità. di un Comitato interministeriale, “che sovrintenda alle scelte delle politiche generali sull’inclusione sociale e quindi pure scolastica delle persone con disabilità”. 

Una laurea per il sostegno. Sono istituiti “quattro distinti ruoli per il sostegno didattico, rispettivamente per la scuola dell’infanzia, per la scuola primaria, per la scuola secondaria di primo grado, per la scuola secondaria di secondo grado”. Inoltre, “per la formazione dei docenti specializzati per il sostegno educativo e didattico sono istituiti i corsi di laurea in pedagogia e didattica speciale”.

Formazione dei docenti. Ampio spazio è dedicato all’articolazione del percorso formativo, sia iniziale che in servizio, destinato ai docenti di sostegno ma anche curriculari. Oltre ai percorsi specifici per i docenti che affiancheranno gli aluni disabili, infatti, anche “la formazione iniziale dei docenti di scuola dell’infanzia e primaria e di scuola secondaria di primo e secondo grado deve obbligatoriamente prevedere almeno 30 crediti formativi universitari vertenti sugli aspetti della didattica per l’inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con altri bisogni educativi speciali, come condizione necessaria per l’abilitazione all’insegnamento”. Alla stesura del Piano didattico personalizzato per gli alunni disabili e con bisogni speciali, sono inoltre tenuti a partecipare “all’inizio di ogni anno scolastico, prima dell’avvio delle lezioni, tutti i docenti delle classi cui sono iscritti alunni con bisogni educativi speciali certificati”. 

Continuità didattica. E’ questa un’atra rivendicazione storica della Fish e delle associazioni che ne fanno parte, contenuta nell’articolo 6 della proposta: “i docenti con incarico a tempo determinato, in classi non terminali, sottoscrivono un contratto di lavoro biennale nella stessa sede, ferma restando la disponibilità della stessa. I docenti specializzati per il sostegno con contratto a tempo indeterminato seguono gli alunni loro affidati per l’intero ciclo scolastico dai medesimi frequentato, fatti salvi i criteri regolamentari e procedurali per la mobilità del personale”. 

Diagnosi e certificazioni. Importanti novità sono inoltre previste per quanto riguarda la certificazione della disabilità e le procedure burocratiche ad essa connesse: la proposta va nella direzione della semplificazione, per cui, in sintesi, “la certificazione di disabilità a fini scolastici dovrà essere prodotta con unica visita per le certificazioni medico-legali ad altri fini”. Dal punto di vista tecnico, “la diagnosi funzionale ed il profilo dinamico funzionale vengono sostituiti dal Profilo di funzionamento alla cui formulazione parteciperanno non solo gli operatori dell’Asl ma anche le famiglie ed un docente della scuola di appartenenza dell’alunno”. 

Raccolta dati. Altra richiesta storica della Fish, ribadita nell’articolo 8 della proposta, è la “creazione di un sistema di rilevazione dei dati che consenta in tempi reali di conoscere tra l’altro l’andamento del numero di alunni con disabilità, dei docenti per il sostegno didattico, il numero di assistenti per l’autonomia e la comunicazione, il numero di alunni nelle loro classi e quello degli stessi alunni con disabilità nelle classi”. 

Organico di rete. Per quanto riguarda il numero dei docenti di sostegno, finora ritenuto insufficiente a rispondere ai bisogni, “si prevede, l’adeguamento dell’organico di diritto, così da giungere, nell’arco di un triennio, ad una dotazione organica pari al numero dei posti di sostegno (110.000) complessivamente attivati nell'anno scolastico 2013/2014. Il numero di posti, attualmente assegnati a singoli alunni, confluiranno nell’organico di rete e saranno assegnati in misura proporzionale alle necessità evidenziate nelle rilevazioni effettuate tramite il Piano Annuale per l’Inclusività”. 

Conciliazione. Infine, allo scopo di frenare l’attuale incremento dei ricorsi in tribunale per l’aumento delle ore di sostegno, si introduce “l’obbligo di un tentativo di conciliazione da esperirsi prima di agire in giudizio; sono fissati termini brevissimi onde evitare ritardi nell’acquisizione di un maggior numero di ore rispetto a quelle originariamente assegnate siano esse di sostegno didattico siano esse di assistenza”