Elenco blog personale

martedì 20 gennaio 2015

Il pensiero dei bambini


Bellissima serata nella primaria di Via Bosio.
Abbiamo ospitato l’amico Franco Lorenzoni che ci ha presentato il suo ultimo libro: I bambini pensano grande. Cronaca di una avventura pedagogica.
Franco Lorenzoni è un maestro (ci tiene a dirlo) della scuola primaria, con un’esperienza trentennale nell’insegnamento, nella ricerca e riflessione sulla propria difficile ma bellissima professione, nella militanza attiva nel Movimento di Cooperazione Educativa. La nostra scuola ha contatti continui con lui perché ospita i bambini di terza e quinta di Via Bosio nel campo scuola che tiene presso la casa – laboratorio di Cenci.
La sua opera si colloca all’interno di quella straordinaria cultura pedagogica italiana che ha prodotto altri maestri come Mario Lodi, Bruno Ciari, Ernesto Codignola, Raffaele Laporta e tanti altri, meno famosi, che hanno fertilizzato con il loro impegno quotidiano la ricerca educativa nelle nostre scuole.
La lettura del suo libro ha rappresentato per me un’esperienza bellissima. L’ho paragonata ieri sera ad una scena del film “Amadeus” di Milos Forman: quella in cui Costanza, la moglie di Mozart, si reca da Salieri all’insaputa del marito e gli mostra alcune delle composizioni di Wolfgang. Salieri prende le carte e gli basta sfiorarle perché possa ascoltare le meraviglie in esse racchiuse e rimanerne sconvolto. Anche io ho provato qualcosa di simile (ma non certo l’invidia distruttiva che il film attribuisce  a Salieri!) nel leggere il racconto che Lorenzoni fa della sua esperienza di un anno quale maestro di una classe quinta della scuola primaria. Da ogni pagina scaturisce uno spunto di riflessione, un’idea, uno stimolo.
Provo ad elencarne qualcuno, rinviando comunque alla lettura del libro che consiglio davvero caldamente a tutti.
I bambini “filosofi”. È davvero emozionante seguire le loro discussioni attraverso le quali, sotto la sapiente regia del maestro, cercano di interpretare il mondo, costruiscono una rappresentazione sempre più raffinata della propria esperienza mettendo in discussione i preconcetti e le costruzioni passate. Credo che per noi adulti costituisca una grande lezione imparare da loro come ci si possa confrontare con idee diverse sullo stesso argomento senza per questo litigare e come sia appassionante ristrutturare (rivoluzionare!) il proprio pensiero quando l’esperienza e lo studio ci mostrano delle nuove strade da seguire. Ma quello che soprattutto ci insegna Lorenzoni è il rispetto verso il pensiero del bambino che non è affatto un pensiero “minore” del quale sorridere con sufficienza. Esso merita invece un  grandissimo rispetto perché rappresenta il grande sforzo che i piccoli fanno per dare un significato a quello che accade loro intorno. Ho trovato, nel lavoro di Lorenzoni, molte assonanze con un testo al quale sono molto affezionato, “Il bambino filosofo. Come i bambini ci insegnano a dire la verità, amare e capire il senso della vita” di Allison Gopnik. Si tratta di un lavoro che ha completamente cambiato la mia maniera di intendere l’infanzia.
Un secondo tema, tra i tanti: l’insegnamento della matematica. Lorenzoni ha avuto la fortuna di essere allievo di Emma Castelnuovo (che con i suoi lavori ha rivoluzionato la didattica della matematica) dalla quale ha sicuramente appreso come motivare i bambini a questo complesso ma appassionante sapere. Lo fa utilizzando soprattutto la storia della matematica: ripercorre assieme ai suoi alunni i passi che l’umanità ha percorrere per costruire il sapere matematico. Ecco perché a lezione parla di Talete, di Pitagora, di Anassimandro, di Eratostene, di Platone. Ed è davvero affascinante vedere i bambini affrontare gli stessi problemi da cui sono partiti i matematici dell’antichità nel costruire il proprio sapere e dialogare con loro.
Un altro tema, poi: il tempo. I bambini devono avere la possibilità di “perdere tempo”. Credo che questa sia una delle lezioni più importanti per chi oggi si occupa di educazione. La nostra cultura non ha alcun rispetto dei tempi dei bambini (ma anche di quelli degli adulti, in realtà). Siamo sempre più travolti dall’ansia di competere, di fare di più, di correre, di occupare il nostro tempo in mille attività. Una volta la qualità della vita si misurava sulla quantità del tempo libero: oggi pare sia esattamente il contrario. E, naturalmente, l’infanzia deve sopportare questo stress in maniera anche maggiore rispetto a noi adulti. La scuola dovrebbe, invece, rappresentare il luogo nel quale c’è il massimo rispetto per i tempi dei bambini allestendo un ambiente di apprendimento che tenga conto dei loro ritmi di maturazione. L'apprendimento - quello vero, profondo - richiede tempo e pazienza.
E, infine, la scuola pubblica. Lorenzoni ci ha ricordato come i bambini siano pienamente consapevoli dell’esistenza nel mondo della ingiustizia. Ingiustizia da parte della natura che non concede a tutti le stesse risorse fisiche ma, a volte, sembra incrudelirsi su chi ha di meno. Ingiustizia sociale, poi: la crisi (l’ho ribadito più volte su questo blog) ha acuito le differenze tra ricchi e poveri e sta creando una società sempre più iniqua. Il compito della scuola pubblica è quello di rendere meno pesanti queste ingiustizie, quello di fare in maniera che pesino di meno sulla vita e sulla condizione dei bambini. Se non si ponesse questa finalità e non facesse niente per realizzarla credo che non avrebbe proprio ragione di esistere come tale.
Grazie mille, Franco! Ci hai dato la possibilità di ragionare di nuovo sul senso del nostro mestiere di educatori e ci hai aiutato a ritrovare quella freschezza di pensiero e di convinzioni che spesso corriamo il rischio di perdere nella quotidianità che sembra travolgerci.


mercoledì 14 gennaio 2015

Bambini trasformati in boia

(immagine da www.corriere.it)

L’ultimo filmato pubblico di Hitler lo mostra, pochi giorni prima della sua morte, davanti al bunker della Cancelleria dove era rinchiuso da tempo, accerchiato dalle truppe russe impegnate nell’assalto a Berlino. Si tratta di un filmato tragico: tra le macerie, su di uno sfondo grigio, lo si vede passare in rassegna un reparto di soldati tra i quali spiccano dei ragazzini in divisa che lui decora complimentandosi per il loro valore militare. È un’immagine tristissima che non può non turbare chi si occupa di infanzia e di formazione: incitare un bambino alla guerra, all’odio per il nemico, all’omicidio, violentarne i sentimenti e la ragione, pubblicizzarne come esempio da seguire l’immagine come combattente rappresenta il fondo della barbarie raggiunta da un regime totalitario sanguinario come quello nazista.
Credevo di non dover più vedere cose simili.
Mi sbagliavo. Già da molti anni siamo informati dell’esistenza di bambini soldati presso alcuni regimi sanguinari nel continente africano e in numerosi filmati ne abbiamo visti anche alcuni, in altri paesi impegnati in drammatici conflitti, marciare in divisa ed addestrarsi all’uso delle armi.
Mai prima d’ora, però, li avevamo visti uccidere a sangue freddo, come purtroppo è accaduto in questi giorni nei filmati messi in rete dai criminali che hanno armato le loro mani.
Credo che questo sia uno dei delitti più gravi che si possa commettere nei confronti dell’infanzia che, come al solito, paga il prezzo maggiore di quello che le accade attorno. Di fronte a tale orrore non possiamo rimanere impassibili ma dovremmo alzare la nostra voce perché ciò non si ripeta più.
Colpisce, su questo episodio, la reazione dei media che non gli dedicano a mio parere un rilievo adeguato.

Mi sorge, poi, spontaneo, un interrogativo: se non ci fosse stata la possibilità di diffondere in rete il filmato dell’esecuzione, la  stessa sarebbe avvenuta? È evidente che si tratta di un rito messo in scena con una forte finalità propagandistica: lo si sarebbe allestito ugualmente se non si fosse potuto pubblicizzarlo in questo modo così pervasivo? Forse che le persone uccise e i bambini trasformati in assassini sono tutti vittime anche di un uso perverso della rete?

domenica 4 gennaio 2015

I vigili di Roma


(immagine da http://www.webpsy.it/blog)

Brutta vicenda quella dei vigili assenteisti a Roma il 31 dicembre.
Brutta per tanti motivi, non ultimo quello che getta discredito su tutta la categoria dei dipendenti pubblici: i giornali di questi giorni sono pieni di articoli – più o meno approfonditi e dettagliati – che pongono in evidenza l’alto tasso di assenteismo nel settore pubblico rispetto al privato e che non possono non avvilire chi invece si impegna con dedizione al proprio lavoro e si sente messo sullo stesso piano dei “fannulloni”.
Non voglio entrare nel merito degli aspetti particolari della storia (organici, piano ferie, disponibilità allo straordinario, vertenza in corso da parecchi mesi tra Comune di Roma e dipendenti dello stesso, ecc). Non sono abituato ad esprimere pareri su cose complesse che non conosco adeguatamente.
Ma c’è un aspetto sul quale vorrei comunque dire qualcosa e riguarda il senso di responsabilità.
Non è un caso che nel mio ultimo post mi auguravo che il 2015 portasse un maggiore senso di responsabilità a chi deve, per il ruolo sociale che svolge, prendersi cura degli altri. Credo, infatti, che ciò di cui nel nostro paese abbiamo maggiormente bisogno è proprio di un’etica della responsabilità, di quei principi morali che facciano prendere in considerazione le conseguenze delle nostre scelte e dei nostri atti nei confronti soprattutto degli altri. Questo vale soprattutto per chi per lavoro svolge un servizio pubblico perché in questo caso gli effetti delle sue azioni ricadono su quelli che, con una bruttissima espressione, sono chiamati gli utenti e che, invece, dovrebbero essere identificati per quelli che sono: i cittadini che pagano le tasse. E molto spesso le conseguenze peggiori colpiscono le persone che più delle altre hanno bisogno della tutela dei servizi pubblici. Per queste ragioni ritengo proprio inaccettabile la logica seguita da chi crede di tutelare i propri interessi individuali o di categoria puntando sul grave disagio creato agli altri e sullo sfascio del servizio di cui si occupa.
Penso che invece oggi, proprio per la particolare condizione in cui si trova la nostra società, il nostro dovere – come educatori - debba essere proprio quello di reagire alla mancanza di senso civico diffuso promuovendo un’etica della responsabilità testimoniandolo, innanzitutto, con i nostri comportamenti.
Condivido del tutto perciò le considerazioni di Gustavo Zagrebelsky ha consegnato al suo articolo pubblicato su “La Stampa”: “A costo di ripetere cose da tanti già dette, non c’è salvezza senza etica pubblica, senso civico, senso del servizio pubblico. Tutto ciò manifestamente non è prevalente nella nostra società, ove tanti dipendenti pubblici consapevoli e orgogliosi del loro lavoro, devono convivere con altri che ricercano ogni occasione di sfruttamento dello Stato, delle amministrazioni pubbliche e dei vantaggi che essi offrono. L’abuso, non l’uso, dei diritti riconosciuti dalle leggi è sopportato, insieme alla tolleranza dei «furbi», persino invidiati per la loro spregiudicatezza. Fuori della pubblica amministrazione, nella cosiddetta società civile, l’evasione fiscale di massa dà il segno della mancanza di spirito civico, oltre che della debolezza di leggi e di apparati repressivi.”  
Ma non posso fare a meno di concordare con lui anche sul fatto che l’irritazione creata dall’episodio di Roma potrebbe essere cattiva consigliera arrecando danni all’immagine e pregiudicando i diritti di chi il suo dovere lo fa quotidianamente tutto fino in fondo.