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domenica 4 gennaio 2015

I vigili di Roma


(immagine da http://www.webpsy.it/blog)

Brutta vicenda quella dei vigili assenteisti a Roma il 31 dicembre.
Brutta per tanti motivi, non ultimo quello che getta discredito su tutta la categoria dei dipendenti pubblici: i giornali di questi giorni sono pieni di articoli – più o meno approfonditi e dettagliati – che pongono in evidenza l’alto tasso di assenteismo nel settore pubblico rispetto al privato e che non possono non avvilire chi invece si impegna con dedizione al proprio lavoro e si sente messo sullo stesso piano dei “fannulloni”.
Non voglio entrare nel merito degli aspetti particolari della storia (organici, piano ferie, disponibilità allo straordinario, vertenza in corso da parecchi mesi tra Comune di Roma e dipendenti dello stesso, ecc). Non sono abituato ad esprimere pareri su cose complesse che non conosco adeguatamente.
Ma c’è un aspetto sul quale vorrei comunque dire qualcosa e riguarda il senso di responsabilità.
Non è un caso che nel mio ultimo post mi auguravo che il 2015 portasse un maggiore senso di responsabilità a chi deve, per il ruolo sociale che svolge, prendersi cura degli altri. Credo, infatti, che ciò di cui nel nostro paese abbiamo maggiormente bisogno è proprio di un’etica della responsabilità, di quei principi morali che facciano prendere in considerazione le conseguenze delle nostre scelte e dei nostri atti nei confronti soprattutto degli altri. Questo vale soprattutto per chi per lavoro svolge un servizio pubblico perché in questo caso gli effetti delle sue azioni ricadono su quelli che, con una bruttissima espressione, sono chiamati gli utenti e che, invece, dovrebbero essere identificati per quelli che sono: i cittadini che pagano le tasse. E molto spesso le conseguenze peggiori colpiscono le persone che più delle altre hanno bisogno della tutela dei servizi pubblici. Per queste ragioni ritengo proprio inaccettabile la logica seguita da chi crede di tutelare i propri interessi individuali o di categoria puntando sul grave disagio creato agli altri e sullo sfascio del servizio di cui si occupa.
Penso che invece oggi, proprio per la particolare condizione in cui si trova la nostra società, il nostro dovere – come educatori - debba essere proprio quello di reagire alla mancanza di senso civico diffuso promuovendo un’etica della responsabilità testimoniandolo, innanzitutto, con i nostri comportamenti.
Condivido del tutto perciò le considerazioni di Gustavo Zagrebelsky ha consegnato al suo articolo pubblicato su “La Stampa”: “A costo di ripetere cose da tanti già dette, non c’è salvezza senza etica pubblica, senso civico, senso del servizio pubblico. Tutto ciò manifestamente non è prevalente nella nostra società, ove tanti dipendenti pubblici consapevoli e orgogliosi del loro lavoro, devono convivere con altri che ricercano ogni occasione di sfruttamento dello Stato, delle amministrazioni pubbliche e dei vantaggi che essi offrono. L’abuso, non l’uso, dei diritti riconosciuti dalle leggi è sopportato, insieme alla tolleranza dei «furbi», persino invidiati per la loro spregiudicatezza. Fuori della pubblica amministrazione, nella cosiddetta società civile, l’evasione fiscale di massa dà il segno della mancanza di spirito civico, oltre che della debolezza di leggi e di apparati repressivi.”  
Ma non posso fare a meno di concordare con lui anche sul fatto che l’irritazione creata dall’episodio di Roma potrebbe essere cattiva consigliera arrecando danni all’immagine e pregiudicando i diritti di chi il suo dovere lo fa quotidianamente tutto fino in fondo.

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