(immagine
da http://www.webpsy.it/blog)
Brutta vicenda quella dei vigili
assenteisti a Roma il 31 dicembre.
Brutta per tanti motivi, non ultimo quello
che getta discredito su tutta la categoria dei dipendenti pubblici: i giornali
di questi giorni sono pieni di articoli – più o meno approfonditi e dettagliati
– che pongono in evidenza l’alto tasso di assenteismo nel settore pubblico
rispetto al privato e che non possono non avvilire chi invece si impegna con
dedizione al proprio lavoro e si sente messo sullo stesso piano dei
“fannulloni”.
Non voglio entrare nel merito degli aspetti
particolari della storia (organici, piano ferie, disponibilità allo
straordinario, vertenza in corso da parecchi mesi tra Comune di Roma e
dipendenti dello stesso, ecc). Non sono abituato ad esprimere pareri su cose complesse
che non conosco adeguatamente.
Ma c’è un aspetto sul quale vorrei comunque
dire qualcosa e riguarda il senso di responsabilità.
Non è un caso che nel mio ultimo post mi
auguravo che il 2015 portasse un maggiore senso di responsabilità a chi deve,
per il ruolo sociale che svolge, prendersi cura degli altri. Credo, infatti,
che ciò di cui nel nostro paese abbiamo maggiormente bisogno è proprio di
un’etica della responsabilità, di quei principi morali che facciano prendere in
considerazione le conseguenze delle nostre scelte e dei nostri atti nei
confronti soprattutto degli altri. Questo vale soprattutto per chi per lavoro
svolge un servizio pubblico perché in questo caso gli effetti delle sue azioni
ricadono su quelli che, con una bruttissima espressione, sono chiamati gli
utenti e che, invece, dovrebbero essere identificati per quelli che sono: i
cittadini che pagano le tasse. E molto spesso le conseguenze peggiori
colpiscono le persone che più delle altre hanno bisogno della tutela dei
servizi pubblici. Per queste ragioni ritengo proprio inaccettabile la logica
seguita da chi crede di tutelare i propri interessi individuali o di categoria
puntando sul grave disagio creato agli altri e sullo sfascio del servizio di
cui si occupa.
Penso che invece oggi, proprio per la
particolare condizione in cui si trova la nostra società, il nostro dovere –
come educatori - debba essere proprio quello di reagire alla mancanza di senso
civico diffuso promuovendo un’etica della responsabilità testimoniandolo,
innanzitutto, con i nostri comportamenti.
Condivido del tutto perciò le
considerazioni di Gustavo
Zagrebelsky ha consegnato al suo articolo pubblicato su “La Stampa”: “A
costo di ripetere cose da tanti già dette, non c’è salvezza senza etica
pubblica, senso civico, senso del servizio pubblico. Tutto ciò manifestamente
non è prevalente nella nostra società, ove tanti dipendenti pubblici
consapevoli e orgogliosi del loro lavoro, devono convivere con altri che
ricercano ogni occasione di sfruttamento dello Stato, delle amministrazioni
pubbliche e dei vantaggi che essi offrono. L’abuso, non l’uso, dei diritti
riconosciuti dalle leggi è sopportato, insieme alla tolleranza dei «furbi»,
persino invidiati per la loro spregiudicatezza. Fuori della pubblica
amministrazione, nella cosiddetta società civile, l’evasione fiscale di massa
dà il segno della mancanza di spirito civico, oltre che della debolezza di
leggi e di apparati repressivi.”
Ma non posso fare a meno di concordare con
lui anche sul fatto che l’irritazione creata dall’episodio di Roma potrebbe
essere cattiva consigliera arrecando danni all’immagine e pregiudicando i
diritti di chi il suo dovere lo fa quotidianamente tutto fino in fondo.
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