Elenco blog personale

mercoledì 7 ottobre 2020

 

 Slide dell'incontro di Casoli del giorno 6 ottobre 


Da questo link è possibile scaricare le slide dell'incontro presso l'ISS "Algeri Marino" dedicato al nuovo modello di PEI del giorno 6 ottobre

martedì 29 settembre 2020

 Il nuovo modello di PEI - terza parte - A


Questa è la terza parte dell'analisi e commento della bozza di nuovo modello di PEI.

Vengono esaminate le prime sette sezioni del modello.

Nel prossimo video verranno presentate le altre sezioni.


Video



giovedì 17 settembre 2020

 Il nuovo modello di PEI - seconda parte


Analisi e commento della bozza di decreto interministeriale.

Seconda parte: il GLO e la proposta di risorse di sostegno

Video



Slide della seconda parte

lunedì 14 settembre 2020

 ANALISI E COMMENTO DELLA BOZZA DI DECRETO INTERMINISTERIALE SUL MODELLO DI PEI E SULLE MODALITA' DI ASSEGNAZIONE DELLE RISORSE DI SOSTEGNO


Questo è il video della prima parte della mia lettura della bozza di decreto interministeriale.

Video




Questo è il link nel quale, invece, trovate le slide relative a questa prima parte.

Slide della prima parte


 Il nuovo modello di PEI

Allego la bozza del decreto interministeriale contenente il nuovo modello di Piano Educativo Individualizzato e le modalità relative all'assegnazione delle misure di sostegno con i relativi allegati (linee guida - modelli di PEI per infanzia, primaria e secondaria di I e di II grado, scheda debito funzionamento e tabella fabbisogno).

Sottolineo come siamo in presenza ancora di bozze per cui le osservazioni e i commenti dovranno essere poi confrontati con il testo definitivo.

Schema decreto

ALLEGATO A1 - PEI INFANZIA

ALLEGATO A2 - PEI PRIMARIA

ALLEGATO A3 - PEI SECONDARIA DI I GRADO

ALLEGATO 4 - PEI SCUOLA SECONDARIA DI II GRADO

ALLEGATO B - LINEE GUIDA

ALLEGATO C - DEBITO DI FUNZIONAMENTO

ALLEGATO C1 - TABELLA FABBISOGNO RISORSE


 Un regalo per me...


Questo video mi è stato regalato da un gruppo di carissimi amici in occasione del mio pensionamento.

Si tratta di un regalo davvero particolare che mi ha riempito di commozione.

Ve lo mostro.

Video




martedì 21 aprile 2020

Valutare in tempo di pandemia


Ieri ho assistito ad un webinar (che brutto termine...) che ho organizzato per conto della rete  d'ambito 6 sul tema della valutazione nella didattica a distanza. L'esperto, Mario Castoldi, ci ha condotto ad una serie di importanti riflessioni sulla funzione e sul valore della valutazione nella formazione. In effetti l'esperienza della didattica a distanza ci costringe a ripensare un po' tutto il senso del nostro fare scuola dal momento che mette in crisi le abitudini consolidate, le routine didattiche e valutative della didattica in presenza che ci siamo subito accorti che non sono proponibili a distanza.
Questo vale, naturalmente, anche per la valutazione e Castoldi ci ha ricordato come la valutazione sia funzionale all'apprendimento e  non viceversa. Soprattutto oggi a distanza non possiamo certo riproporre il modello tradizionale di prova di verifica individuale tipo prova d'esame. E allora dovremo utilizzare quelle  metodologie e quegli strumenti che ci consentono di attuare una vera valutazione per l'apprendimento che, tra l'altro, ben si presta ad un utilizzo delle tecnologie digitali che ne valorizzi al meglio le potenzialità.
Leggo poi oggi un illuminato intervento di Carlo Petracca sull'esame di terza media: Esame di terza media. Figli di un dio minore?
Petracca polemizza con la decisione contenuta nel decreto legge 22/2020 di non far svolgere l'esame conclusivo del primo ciclo d'istruzione (il vecchio esame di licenza media) nel caso, ormai molto probabile, che non si rientri a scuola entro il 18 maggio. 
Sono numerose le argomentazioni che porta a sostegno della propria tesi ma ce n'è una che mi preme sottolineare ed è quella che ribadisce la funzione educativa dell'esame.
L’esame consiste, come sappiamo, in una serie di prove ed è percepita dagli stessi alunni come una prova. Gli studi di settore e l’esperienza hanno dimostrato che gli adolescenti vanno alla ricerca di prove in ogni campo per costruire le loro identità, per avvicinarsi al mondo adulto, in definitiva per constatare la loro crescita. Spesso sono le cosiddette “prove di coraggio” anche rischiose per la loro incolumità, ma che comunque aiutano a crescere. Nella vita non ci sono solo prove fisiche, ma anche prove in cui dobbiamo fare ricorso alle nostre capacità, alle nostre risorse, alle nostre attitudini. E ne sono molte. Ebbene l’esame finale del primo ciclo è la vera prima prova che l’adolescente si trova ad affrontare. Di fronte ad essa non si pone con indifferenza, ma con un sentimento di attesa e persino di ansia che richiede di raccogliere le proprie energie e di dare prova di sé. Ecco perché l’esame di terza media ha una grande funzione formativa. Abolirla anche in un periodo di emergenza significherebbe privare gli adolescenti di una prova importante.
 In effetti Castoldi e Petracca utilizzano la stessa modalità di analisi e di riflessione: nei momenti in cui l'emergenza sanitaria ci costringe a fare delle scelte noi dobbiamo tornare a riflettere sul senso più profondo della nostra azione. E il senso profondo, il valore, la funzione della valutazione è, comunque, quella di formare, non quella di giudicare e selezionare.



giovedì 16 aprile 2020


La scuola intubata


Bellissimo l’articolo di Alberto Melloni, Il corpo del docente, che compare oggi su Repubblica.
Melloni si occupa ogni tanto di scuola. All'inizio dell’anno scolastico un suo intervento (“Cara prof., le dico solo grazie”) l’ho indirizzato come messaggio di augurio a tutto il personale docente di Chieti 4 e San Giovanni Teatino.
Oggi interviene sulla didattica a distanza e dice cose molto interessanti alla luce anche della sua esperienza di docente del sistema universitario (è infatti ordinario di storia del cristianesimo nell'Università di Modena-Reggio Emilia) che già da tempo la utilizza e, quindi, ne conosce limiti e potenzialità.
L’articolo parla di corpo, appunto, di quella di fisicità che è alla base della relazione educativa e che il distanziamento sociale ha eliminato.
Parla anche del fatto che la didattica a distanza piace molto a chi ha una concezione trasmissiva del sapere, fatta di pillole pre-confezionate da spedire al destinatario.
Ma, soprattutto, sottolinea come fa parti eguali fra diseguali. Non è un caso che usi quest’espressione: Melloni ha infatti curato l’edizione nella collana “I Meridiani” delle opere di don Lorenzo Milani. La didattica a distanza, infatti
rende plastica la distanza fra i figli dei ricchi (con la loro stanzetta singola, la fibra, l'iPad e la carta di credito già pronta per andare a una università vera) e i figli dei poveri a cui il ministero è riuscito a far giungere un tablet la cui webcam racconterà una cucina affollata di fratelli e adorna di angosce (e l'approdo al mondo opaco delle università telematiche e dei corsi telematici nelle università vere). 

Non è questa la vera rivoluzione digitale che può fornire valore aggiunto alla scuola. Deve avere altre caratteristiche.
Tocca e toccherà anche il sapere costruito: ma sa che il sapere si costruisce solo nella relazione. Anziché insegnare in una distanza che riduce il confronto a chat, il pensiero a "pillola", la verifica a e-Proctoring, sa che l'aula è il luogo in cui si formano scienza e coscienza critica, necessarie a possedere competenze e tecnologie che domani saranno necessarie sul lavoro e che oggi decidono della felicità, della democrazia e della salute - come dimostrano i cyberdepressi, i sovranisti e i no-vax.

Del resto la ricerca educativa ci ha ampiamente dimostrato come non è la tecnologia digitale in sé a fare la differenza ma la strategia formativa che la tecnologia stessa implementa.

La trasformazione digitale è dunque strumento necessario nella scuola e nell'università. Come lo era la lavagna ai tempi di De Amicis; ma come la lavagna è e resta strumento. Se sulla lavagna ci scrive Carlo Rubbia o un mediocre imbarcato ope legis, c'è una bella differenza. Se di fronte alla lavagna c'è un ceto filtrato dalle leggi razziste oppure una comunità costituzionalmente "aperta a tutti", cambia molto.

Dunque sono fondamentali le intenzionalità educative e le competenze pedagogiche di chi utilizza lo strumento tecnologico. E questo riguarda quella comunità educante che con grande fatica le nostre scuole stanno cercando di mantenere vive.

La "comunità educante" - che tornerà protagonista con buona pace di quelli che "una lezione a distanza è per sempre" - è il luogo in cui la Repubblica usa ogni strumento necessario per offrire a tutti pensiero critico e rimuove gli ostacoli "che di fatto impediscono" a tutti quella formazione.

Ma è soprattutto la conclusione dell’articolo che mi ha molto colpito.

Non è escluso che il prossimo anno scolastico si debba ricorrere ancora all'insegnamento a distanza, che è stato il modo di intubare la socialità educativa soffocata dalla pandemia. Ma nessuno vuol vivere intubato. Nemmeno il pianeta-educazione in attesa di una transizione che faccia distinzioni necessarie a non fare errori gravidi di conseguenze.

Condivido molto queste lucide considerazioni di Melloni. L’esperienza della didattica a distanza ci presenta delle opportunità ma anche dei rischi rispetto alla scuola che riprenderà dopo l’emergenza. Se sarà migliore o peggiore non dipenderà, comunque, dalla quantità di dispositivi digitali di cui disporrà, ma dalle finalità educative che orienteranno le sue scelte.

martedì 14 aprile 2020

La fase due della scuola


Credo che tutti, ormai, abbiano capito che per quest'anno non si tornerà più in classe.
"La scuola è finita" titola oggi in prima pagina Repubblica.
Mi pare un pessimo titolo che non rende merito a tutti noi operatori scolastici che dal 5 marzo ci stiamo mettendo anima e corpo, giorno e notte, per non spezzare e tranciare bruscamente i percorsi di apprendimento dei nostri allievi, per continuare l'attività didattica sia pur a distanza e con grandi difficoltà. La scuola non è finita perché non riaprono gli edifici scolastici. La scuola continua nonostante il Covid-19, sebbene in altre forme e con altri strumenti, a continuare a svolgere la sua funzione.
Ma è anche evidente che con il maledetto Covid-19 dovremo fare i conti ancora a lungo. Non siamo ancora usciti fuori dal tunnel, il famoso picco non è stato ancora valicato, la discesa non è ancora iniziata. È perciò prevedibile che i tempi di uscita dall'emergenza siano lunghi e, fintanto che non avremo a disposizione un vaccino o delle terapie antivirali sicuramente efficaci, le misure di distanziamento sociale - sia pur meno rigide di quelle di oggi - costituiranno ancora lo strumento più efficace di prevenzione e di lotta. 
Non è un caso, perciò, che l'attenzione oggi si sposta molto su come dovremo gestire la ripresa dell'anno scolastico a settembre. Sebbene sia impossibile fare previsioni su quale sarà la situazione della pandemia in quel periodo, l'esperienza di questi mesi ci sta dimostrando che stavolta non dobbiamo farci trovare impreparati ma dovremo mettere in atto in anticipo tutte quelle misure organizzative che ci consentiranno di gestire al meglio la situazione che troveremo. 
Questa sarà la fase due della scuola.
Non sarà facile conciliare le classi numerose che abbiamo nelle nostre scuole (le classi pollaio) con le esigenze di distanziamento sociale, non sarà facile dare continuità al curricolo se ci saranno ancora delle sospensioni dell'attività didattica in presenza, non sarà facile integrare e recuperare gli apprendimenti compromessi dalla didattica a distanza, non sarà facile riportare nel mainstream tutti gli alunni più fragili che già facevano fatica a seguire con continuità il percorso comune e che la didattica a distanza ha allontanato dalla comunità scolastica.
Ci vorrà audacia: faccio mia qui la scommessa di Baricco. 
Audacia nel capire che la scuola non potrà essere quella di prima, che bisognerà mettere a frutto tutto quanto di positivo ci sta insegnando  l'esperienza della didattica a distanza sul piano della riscoperta dei fondamenti dell'agire educativo e didattico. 
Audacia nell'utilizzare con sapienza - prima di tutto pedagogica - quelle tecnologie che ci hanno consentito di salvare e di tenere in piedi, pur tra mille difficoltà, la scuola. 
Audacia nell'abbandonare vecchie abitudini didattiche e soprattutto valutative che stanno dimostrando tutta la loro penosa inadeguatezza adesso che non possono più trincerarsi dietro le routine spazzate via dall'emergenza.
Audacia nel proporre modelli organizzativi che sappiano alternare momenti in presenza con momenti a distanza, inevitabili con il permanere del rischio Covid-19. 
Audacia nello sfruttare appieno tutte queste possibilità per rendere la scuola più inclusiva. 
E, infine, audacia nella politica che faccia importanti investimenti nella scuola, che non la consideri il bancomat del Ministero delle finanze quando si tratta di fare tagli di bilancio, che abbia - finalmente - una visione della scuola in grado di orientare le sue scelte senza rincorrere interessi clientelari o elettorali.


domenica 12 aprile 2020


Il coraggio nella paura


Massimo Recalcati ci regala oggi un ennesimo bellissimo intervento su Repubblica.
Dopo essere intervenuto qualche giorno fa sullo spunto fornito da Baricco (l’audacia necessaria a uscire dall'emergenza), adesso riflette sull'angoscia che genera il trauma del Covid-19
Non sull'angoscia generata dalla paura del contagio, la prima che abbiamo vissuto e che abbiamo in qualche modo risolto in “un sentimento inedito di solidarietà e di unità nazionale […] Il noi ha prevalso sull'io, il carattere individualistico della libertà ha lasciato il posto all'idea collettiva della libertà come solidarietà”.
Ci parla, invece di un’altra angoscia che sta emergendo adesso: quella della perdita del mondo. Niente sarà più come prima: “i cambiamenti che l'epidemia ci impone non saranno solo misure provvisorie ma altereranno inevitabilmente la nostra vita insieme”. Recalcati evidenzia come la convivenza con il Covid-19 cui necessariamente saremo obbligati comporterà lo “schiacciare i soggetti più fragili in una condizione di totale dipendenza e gettare nell'impotenza quelli con un potenziale generativo più alto. Per i primi l'angoscia è quella di abbandono, per i secondi è quella dell'immobilità. Per gli uni l'angoscia è quella della sopravvivenza, per gli altri è quella della morte professionale e imprenditoriale.”
È questa l’angoscia che viviamo oggi: riaprire alla vita, alla socialità, alla quotidianità in presenza ancora del male, del virus che sarà ancora con noi fintantoché non avremo a disposizione un vaccino o una terapia efficace.
Questa è la sfida alla quale siamo oggi chiamati. “Compito di una comunità è certamente quello della protezione della vita, soprattutto dei soggetti più fragili, ma è anche quello, come accade nel mito biblico del profeta Noè, sopravvissuto alla catastrofe del diluvio, di saper piantare la vigna. Le parti migliori di noi e del nostro Paese sono quelle che assomigliano a Noè; il "resto salvato" dalla distruzione, le forze positive che resistono alla devastazione del male. Ma nel nostro caso la vigna esige di essere piantata anche se attorno c'è ancora morte e distruzione. Non potrà accadere alla fine del diluvio, ma in una zona di transito, fatalmente incerta. È questa la durissima prova di realtà che questo trauma collettivo esige e che non si potrà rinviare”. È questa la situazione in cui ci troviamo: un’instabile zona di mezzo, “non la luce o le tenebre, ma la luce obliqua nelle tenebre; non la paura o il coraggio, ma il coraggio nella paura”.

Saremo in grado di affrontare questa sfida? Quale potrà essere il contributo di noi educatori?

lunedì 6 aprile 2020

La scuola non sarà più la stessa


Leggo su Tuttoscuola di oggi un bell'articolo, i cui contenuti mi sento di condividere in gran parte.

Siamo tutti convinti che la società con la quale avremo a che fare dopo la fine dell'emergenza sarà diversa da quella che abbiamo lasciato nelle settimane passate. Niente sarà più come prima, passato il ciclone del Covid-19. Anche la scuola non sarà più la stessa. Quello che sta accadendo in questi giorni la sta trasformando e ripensando. Sarebbe un grave errore, perciò, pensare che, una volta terminata l'emergenza, si possa ripristinare la situazione passata.

[...]dopo questa fase emergenziale la scuola non potrà essere più la stessa non solo per l’insegnamento in presenza e/o a distanza. 
La scuola non sarà più la stessa nei rapporti tra docenti e genitori, dopo che entrambi hanno avuto concreta consapevolezza reciproca dei rispettivi ruoli e funzioni. 
La scuola non sarà più la stessa, dopo che i docenti sono stati costretti a riscoprire il loro ruolo di educatori in un rapporto più umano ed empatico con i propri alunni.
La scuola non sarà più la stessa, dopo che la tradizionale valutazione degli alunni è stata messa alle corde nella sua formulazione sommativa e gli esami sono stati costretti a scendere dal loro piedistallo per diventare quasi soltanto simulacri del loro passato.
La scuola non sarà più la stessa, dopo che gli organi collegiali, anche nell'imprevista modalità della video conferenza, hanno mostrato i limiti di una funzione diventata ormai superata e anacronistica.  
La scuola non sarà più la stessa, dopo che la comunità prigioniera di questa pestilenza è stata costretta a riscoprirne anche la funzione sociale e vitale per il futuro della ricostruzione.
Per essere veramente SCUOLA, quella che uscirà da queste macerie di dolore dovrà essere ripensata quasi integralmente.
Sarà la riforma del Covid-19. Ma anche dalle tragedie più gravi si può trovare la forza di ricostruire un mondo migliore.

Ci riusciremo? Riusciremo a ricostruire una scuola migliore?

sabato 4 aprile 2020

La cura


Le esperienze e le riflessioni di questi giorni terribili mi stanno facendo riprendere coscienza di un fatto semplice e pure spesso dimenticato.
L'educazione è un lavoro di cura, un prendersi cura degli altri. Lo notavo già nei giorni passati: la passione generosa, l'impegno deontologico con cui la quasi totalità dei docenti si sta dedicando al proprio lavoro sono tutti figli della riscoperta dei valori fondanti del fare scuola. E tra questi c'è quello del prendersi cura.

Ma cosa significa "cura"? Mi aiuta a capirlo un intervento di Maurizio Maggiani nella rubrica che settimanalmente tiene su Robinson dedicato proprio al termine "cura".

Dal latino tale e quale, cura. Ma le sue radici sono di un albero troppo antico per essere inequivoche. La più accreditata è dal sanscrito khu nel senso di battere, nel senso di darci proprio di martello, da cui poi prende la strada per accudere, che vuol dire forgiare, infatti da qui viene l’incudine che serve per quello. Che accudire sia un po’ forgiare ha un suo che, ma che curare sia in definitiva martellare bisogna pensarci un po’ su. Ma avendoci pensato, in fin dei conti cos’è la cura se non un dai e dai, un battere e ribattere? Però khu può anche essere per guardare, osservare, da qui kav, kavi, che è il saggio, in latino cautus, e in cos'altro consiste la cura se non in un assiduo e saggio sguardo? Non è finita, perché c’è anche kur da mettere senza la acca, che è il cuore, in latino cor, e cor urat è che scalda il cuore, che lo conforta oppure lo consuma, a piacere. Così, sincopando, cor urat verrebbe cura. Come potergli dar torto, quale miglior cura che scaldare il cuore, confortarlo, e per troppa cura infine consumarlo? Io metterei tutto assieme. Visto che non si vede l’ombra di un vaccino, non ci resta che curare e curarci come possiamo; a proposito, la cura e il suo verbo sono attivi, passivi e riflessivi, curiamo, siamo curati e ci curiamo.
Dunque curiamo e curiamoci teniamo caldo il cuore magari senza consumarlo, e non cessiamo di volgergli e di volgerci lo sguardo più cauto e più saggio che sappiamo. E infine battiamo e ribattiamo con la tenacia del fabbro sul tasto che tanto duole, osserva le prescrizioni, esegui gli imperativi, ora fallo.

Questo il titolo del suo articolo: Cura. Non c'è niente che scaldi tanto il cuore.

Bellissimo. Una scuola che si prende cura è una scuola che scalda il cuore.

venerdì 3 aprile 2020

Informazione e scuola

Ho seguito ieri una diretta sul sito di repubblica sulle tematiche connesse alla scuola in questo periodo. Mi ha molto deluso. 
L'esperto era un giornalista che sul quotidiano si occupa dei problemi della scuola. Forse sarebbe stato meglio prevedere la partecipazione di un vero esperto (un dirigente tecnico, un dirigente scolastico, un docente di rilievo, un pedagogista...). In realtà - lo noto da parecchio tempo - nelle trasmissioni dei grandi media che si occupano della scuola si invita chiunque perché, in fondo, si ritiene che tutti possono parlare e dire qualcosa sulla scuola. Ricordo che in una puntata di "Che tempo che fa" di qualche anno fa fu affrontato il problema dei compiti a casa e ne parlarono solo Fazio, Gramellini e una giornalista amica dei due... Addirittura ricordo pure una trasmissione RAI in cui si parlava della riforma Moratti nella quale tra gli esperti c'era Serena Dandini. Il sapere dell'educazione è considerato un sapere "minore", sul quale tutti possono pontificare.
La delusione è nata -comunque - principalmente dal fatto che nella diretta si è parlato solo di scuola secondaria di secondo grado. Si è parlato di video lezioni che funzionano tanto bene, di voti, di esami. Nemmeno un accenno a quelle che sono le più pesanti problematiche della didattica a distanza e che viviamo quotidianamente.

Leggo invece stamani un bellissimo servizio su Internazionale: Sei insegnanti alle prese con le lezioni a distanza
Sono sei docenti (una dell'infanzia, due della primaria, due della secondaria di promo grado e uno della secondaria di secondo grado) che raccontano, con franchezza e pacatezza, la scuola che stanno vivendo assieme ai loro bambini e ai loro ragazzi.
Molte cose interessanti che ritrovo anche nei colloqui che giornalmente ho con i miei docenti:

  • le tecnologie sono inclusive o al contrario evidenziano le differenze?
  • le bambine e i bambini, le ragazze ed i ragazzi vedono nella scuola, anche a distanza, un punto di riferimento importantissimo, specie nei momenti difficili come quelli che stiamo vivendo
  • la didattica a distanza, in una situazione di emergenza, non può essere portata avanti senza un ripensamento continuo delle attività
  • la didattica a distanza è bella e smart come si vuole far credere, o è soltanto un surrogato che usiamo in mancanza di meglio?
  • la scuola è soprattutto relazione e l’apprendimento passa attraverso la presenza fisica di docenti e studenti nelle aule
  • ognuno ha spostato sulla piattaforma il tipo di didattica a cui è abituato. Chi in classe faceva una didattica frontale e trasmissiva inserisce sulla piattaforma pagine di esercizi, schede scansionate da innumerevoli guide, video trovati su YouTube e, nei casi fortunati, qualche materiale originale. Nessuno vuole ripensare l’insegnamento per adattarlo alle lezioni a distanza.
Tutti, comunque, esprimono la generosità e la passione con la quale, assieme ai loro colleghi, non si sono tirati indietro di fronte ad un compito inedito e difficilissimo perché il senso etico della professione docente si è rivelato presente nella quasi totalità dei docenti della scuola italiana. E questa è un buon motivo di speranza per quello che ci attende nei prossimi mesi. 

mercoledì 1 aprile 2020


 Prendersi cura


Ho visto, in uno dei tanti servizi che le televisioni dedicano ai medici impegnati in prima linea negli ospedali a combattere il Covid-19, l’intervista ad un dottore che rifletteva, piangendo, sul fatto che le persone contagiate muoiono da sole, senza il conforto di una persona cara, di uno sguardo amico, anche della visione della faccia di uno sconosciuto, coperta dalla mascherina. Singhiozzava per la pena che questo fatto gli procurava, non tanto per la frustrazione di non essere riuscito a salvare la persona.

La cosa mi ha molto colpito.

Oggi ho ascoltato un audio di UmbertoGalimberti e, credo, di aver capito meglio sia perché quell'episodio mi aveva tanto colpito sia il motivo del pianto del dottore.
Galimberti distingue il preoccuparsi dal prendersi cura.
La preoccupazione è un intervento tecnico: individuo la terapia più adatta al tuo caso, somministro i farmaci, controllo gli effetti degli interventi, verifico la tua guarigione, ecc.
Il prendersi cura è invece parlare con te, comprenderti, costruire una relazione significativa.  

Un buon medico è quello capace sia di preoccuparsi sia di prendersi cura del malato. Quel medico era un ottimo medico e piangeva perché questo maledetto virus ci impedisce anche di prenderci cura dei morenti.

martedì 31 marzo 2020


Bambini invisibili e sequestrati in casa


Interviene nuovamente Chiara Saraceno con un articolo su Repubblica sulla condizione dei bambini nell'emergenza Covid-19: Un’ora d’aria per i bambini.
Nell'articolo riferisce di una serie di petizioni da parte di associazioni che richiedono una maggiore attenzione per i diritti e i bisogni delle bambine e dei bambini, specie di quelli che vivono in situazioni di svantaggio.
C’è chi chiede il diritto per i bambini ad un’ora d’aria, diritto riconosciuto dai provvedimenti governativi solo ai cani. Ma, prosegue la Saraceno,
il diritto "all'ora d’aria" è oggetto di una richiesta di genitori di ragazzi con disabilità psichiche (autistici ma non solo) perché questi ragazzi, cui è stata interrotta la routine quotidiana, a volte diventano violenti. Questi genitori lamentano anche l’assenza di previsione di attività e di sostegni specifici da parte della scuola che, oltre a lasciare le famiglie isolate, rischia di innescare un processo irreversibile di peggioramento delle capacità dei ragazzi.
Questa è una delle situazioni più difficili: quella delle bambine e dei bambini con disabilità gravi per i quali è necessario un intervento educativo e riabilitativo di tipo specialistico che purtroppo non è possibile fornire a distanza. Per queste bambine e questi bambini la presenza a scuola costituisce un fattore determinante non solo di crescita e maturazione ma anche di benessere. Per loro la scuola, la scuola in presenza fatta di relazioni concrete e non digitali, è preziosa come l’oro. I docenti delle due scuole che dirigo cercano di stare vicini il più possibile ai bambini e alle loro famiglie bambini, le contattano, condividono con loro messaggi vocali e video, raccomandano esercizi ed attività che potrebbero essere utili. Ma si tratta di poca cosa rispetto alla gravità delle problematiche e al peso che le famiglie devono sopportare.
Ma ci sono anche altre bambine ed altri bambini fragili che hanno perso, in questo periodo, tutto il supporto che offrivano loro i servizi sociali del comune e delle associazioni del terzo settore. Anche in questi casi c’è la generosità e la disponibilità dei singoli che cerca di fornire aiuto alle famiglie nelle situazioni di difficoltà che però, da sola, non può farsi carico delle migliaia di minori in condizione di povertà educativa.
C’è il rischio, fortissimo, che la crisi che si sta delineando e che sicuramente seguirà all'emergenza sanitaria, sarà pagata soprattutto da chi è più debole e fragile, come è già successo negli anni scorsi con la crisi economica e finanziaria. L’ho scritto già in qualche post dei giorni passati: potremmo trovarci, di qui a qualche mese, di fronte ad una società più spaccata e ingiusta.
Per evitarlo occorrerà coraggio e audacia (quell'audacia di cui scrive Baricco…). Audacia soprattutto nelle scelte: i servizi di assistenza ai minori più fragili non dovranno più essere soggetto a tagli mortificanti ma dovranno costituire una priorità negli investimenti, la loro qualità (e non solo la quantità) dovrà essere innalzata e dovrà costituire un esempio di eccellenza.
Ma avremo una classe dirigente audace e all'altezza di questa sfida?  Non lo so, ma intanto, come afferma la Saraceno
Nel decreto "Cura Italia" c’è poco o nulla. […] Tutto è lasciato alle famiglie da un lato, alla disponibilità degli operatori sociali dall'altro, senza sostegni né finanziari né di altro tipo, e senza neppure valorizzazione. Perché il problema non è visto e i bambini e i ragazzi più vulnerabili sono invisibili. Ancora più oggi, "sequestrati in casa".

domenica 29 marzo 2020


Tre cose diverse sul senso di fare scuola in tempo di Covid-19


Tre cose molto diverse tra loro ma legate da uno stesso filo conduttore sul quale sto riflettendo molto in questi giorni.
La prima è un’accorata lettera – che circola sul web - di una mamma che di mestiere fa l’anestesista rianimatore e che si trova in prima linea, in un ospedale lombardo, nella lotta al Covid-19. Ringrazia i docenti e chiede loro aiuto: i ragazzi, in questo momento, hanno bisogno come mai di punti di riferimento, di qualcuno che li aiuti. Sono smarriti e preoccupati, incerti sul futuro; molti di loro devono anche elaborare il lutto della malattia e della perdita di una persona cara. La lettera ci chiede di svolgere il nostro intervento educativo non solo in termini di didattica ma anche e soprattutto nel senso più ampio di riferimento, guida e formazione di individui adulti.
Voi siete i punti di riferimento in un momento di profonda incertezza sul futuro. Con il vostro esserci attivamente attraverso il coinvolgimento, la discussione, l’analisi della situazione, la comprensione, il conforto, il supporto, potete favorire quel senso di continuità e sicurezza così necessario in adolescenza.
Ci richiede un compito difficile ma decisivo per il futuro che aspetta la nostra società: quando questa terribile tragedia che si sta consumando sarà finita, quando si rientrerà alla cosiddetta normalità, i vostri studenti ritorneranno da voi. Ma non saranno gli stessi di prima. Voi sarete fondamentali nell'assisterli nella loro ripresa, fondamentali nell'aiutarli a mantenere la fiducia in loro stessi, a superare le loro angosce, a riparare le loro ferite. Sarete più che mai fondamentali nel compito di continuare a formare adulti solidi.
La seconda è costituita da un bellissimo intervento di due docenti del nostro Istituto Comprensivo n. 4 di Chieti, la prof.ssa Di Cristofaro e la prof. Romagnoli. Il loro intervento nasce dalla consapevolezza 
di dover fare ben altro che semplicemente “tecnologizzare” la nostra didattica e far sentire la nostra presenza ai ragazzi in termini puramente istituzionali. la didattica a distanza non può, e non deve, rappresentare il paradigma di un’asettica assegnazione di compiti e consegne e del loro svolgimento da parte di ragazzi che si sono visti all'improvviso sottrarre ciò che sostanzia davvero la scuola: un’esperienza prima di tutto umana, fatta di sguardi, contatto, empatia tra tutti coloro che, seppur con ruoli diversi, partecipano al dialogo educativo. In questo momento la scuola viene chiamata come non mai a proporsi ai nostri ragazzi come un punto fermo a cui aggrapparsi, e noi insegnanti si diventa il veicolo e il tramite di questa presenza, che per molti di loro rappresenta anche l’ancora di un riscatto familiare, più ampiamente, sociale… E chiudono nel ritenere che occorra sostanziare oggi la professionalità docente di quel giusto equilibrio, spesso molto difficile da trovare, tra la trasmissione dei contenuti e quella “leggerezza” e apertura mentale che ci permetta di dare sempre la priorità al rispetto delle attitudini dei ragazzi, ai loro tempi di apprendimento, ma soprattutto in questo momento, alle loro incertezze, ansie e timori.
È evidente la consonanza con la lettera della mamma anestesista.

La terza cosa è un articolo di Umberto Galimberti apparso sul L’Espresso di questa settimana: Chiusi in casa. Approfittiamone per parlare di più con i nostri figli e aprire un dialogo interiore con noi stessi. Galimberti è già intervenuto su questi temi (su You Tube si può vedere un suo video dedicato a questa tematica). Qui, però, aggiunge alcune considerazioni molto interessanti per chi ha un compito educativo. La prima: dire, nei modi giusti, la verità. Nella vita oltre che il bene c’è anche il male, oltre la gioia c’è anche il dolore, oltre la vita c’è anche la morte. Dovranno avere strumenti che consentano loro di essere in grado di difendersi quando da adulti incontreranno il dolore e la sofferenza. La seconda: leggere assieme a loro i libri di narrativa, perché da essi si apprendono i sentimenti che, a differenza delle pulsioni che ci sono date per natura, sono un’elaborazione culturale. Se si conosce la natura di un sentimento, quando veniamo attaccati dal dolore e dallo sgomento come in questo periodo, siamo in grado di dargli un nome e elaborare una mappa per uscirne. E la grande letteratura è maestra nello spiegare ed insegnare i sentimenti. 

Punti di riferimento umani e culturali, relazioni e sentimenti: elementi forti per comprendere il senso educativo del nostro fare scuola nell'emergenza.

sabato 28 marzo 2020


Alzare gli sguardi

Di solito seguo poco e distrattamente le vicende della chiesa cattolica. Ho poco tempo e lo devo, adesso, dedicare maggiormente ad altre tematiche.
Mi ha però colpito molto, ieri, vedere il Papa Francesco parlare in uno senario unico e, spero, irripetibile: da solo, con le la pioggia e l’imbrunire che scuriva il colonnato di una piazza san Pietro vuota, con il suono delle sirene delle ambulanze in sottofondo.
Ho voluto, perciò leggere il testo completo del suo intervento.
È stata una bellissima lettura. Ho trovato in alcune delle cose che ha detto molta risonanza dei miei pensieri di questi giorni.
Innanzitutto il senso di sgomento che tutti, credenti o meno, abbiamo di fronte alla tempesta di questa pandemia.
“La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all'avversità”.
Ma l’esperienza terribile di questi giorni ci rivela qualcosa.
“Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell'angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme. […] Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli”.
Papa Francesco continua dicendoci che è “tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è, […] di reimpostare la rotta della vita verso gli altri, […] di guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita […] medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo”.
E poi: “Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera”.
Mi fa molto piacere che abbia ricordato gli insegnanti.

venerdì 27 marzo 2020


Essere audaci: riscoprire l’essenziale


Ieri ho commentato l’articolo di Baricco sull’audacia che mi pare ci offra alcuni spunti interessanti anche a noi educatori. Oggi interviene, sempre su Repubblica, Massimo Recalcati. Nelle sue osservazioni trovo molte cose che mi aiutano a riflettere.

Recalcati ci ricorda che la paura riduce gli orizzonti ma che le esperienze traumatiche (e l’emergenza del coronavirus è un’esperienza traumatica) possono avere da parte nostra due diverse risposte: “[…] fingere di tornare a vivere come prima, come se nulla fosse accaduto, dunque misconoscere la portata catastrofica del suo evento, oppure provare a trarre dalla questa impensata potenza negativa una forza nuova. Essere audaci significa per me questo: non misconoscere il trauma, ma prenderlo come un'occasione potente di trasformazione. La psicoanalisi ne fa un caposaldo della sua pratica: la crisi più profonda può sempre rivelarsi come l'occasione straordinaria di una ripartenza”.

Una straordinaria ripartenza: passata l’emergenza sanitaria nulla sarà come prima, scuola compresa. Potrà essere peggiore o migliore, accentuare i propri difetti e limiti o valorizzare il meglio di sé che sta fornendo proprio in questi giorni con l’impegno appassionato e la riscoperta del valore del “fare scuola” della quasi totalità dei suoi operatori. Ma questo richiederà, appunto, audacia.

Ma cosa significherà essere audaci? Anche su questo, mi pare, Recalcati ci fornisce qualche preziosa indicazione, partendo dalla sua esperienza e sapienza di psicanalista.
La crisi “è la cicatrice viva che riconosciamo in tutte quelle persone che si sono trovate di fronte al rischio della loro morte o coinvolti in un lungo periodo di privazione e dolore e che resistendo e sopravvivendo non sono più riusciti a vivere come prima. Come se l'incontro con la possibilità concretissima della loro fine avesse esaltato la loro pulsione di vita. La loro necessità è divenuta quella di voler spendere tutto il tempo che restava della loro vita per l'essenziale; eliminare il superfluo, gli ingombri, l'impotenza e l'utopia astratta per coltivare la potenza vitale dell'essenziale. Questa è per me una formula dell'audacia: liberarsi dei pesi che ostacolano il dispiegamento della forza vitale e scommettere sulla potenza affermativa di questo dispiegamento. Stiamo sperimentando che è diventato possibile quello che ritenevamo impossibile. Nel male questo è avvenuto con l'epidemia. Nessuno poteva immaginare che il mondo potesse fermarsi e la morte dilagare. E nel bene? Non sono già sotto ai nostri occhi le formidabili energie creative che si sono mobilitate in risposta al trauma? Solidarietà, de-burocratizzazione, impresa, flessibilità, importanza finalmente riconosciuta alla sanità e alla scuola pubblica, ai beni comuni, eccetera”.

Eliminare il superfluo, gli ingombri, l’impotenza e l’utopia astratta per coltivare la potenza vitale dell’essenziale. Questa è la lezione che possiamo apprendere. Stiamo riscoprendo l’essenziale del fare scuola, che forse avevamo dimenticato negli ultimi tempi: il valore della comunità scolastica, il tessuto relazionale che si instaura nelle classi, il significato etico della professione docente, la grande rilevanza della scuola per le famiglie italiane, la guida sensata del dirigente, la vera funzione educativa della valutazione.

Da questo dobbiamo ripartire perché la scuola che verrà dopo il corona virus sia migliore e non peggiore di quella che abbiamo dovuto lasciare in fretta il 5 marzo.

giovedì 26 marzo 2020

Il momento dell'audacia

Fa sentire la sua voce anche Alessandro Baricco, con un interessante intervento su Repubblica di oggi. Molti spunti intriganti, come suo stile.
Alcuni mi hanno colpito e mi hanno aiutato a riflettere sulle lezioni che ci sta dando la terribile emergenza che stiamo vivendo. Con la prospettiva, naturalmente, di persona di scuola.

Primo spunto: l’audacia (che dà anche il titolo al suo articolo).
Viene da un bel romanzo svedese. C'è la regina che decide di imparare ad andare a cavallo. Monta in sella. Poi chiede sprezzante al maestro d'equitazione se ci sono delle regole. Ed ecco cosa risponde lui: "Prima regola, prudenza. Seconda, audacia".
Bene, direi che con la prudenza ci stiamo dando un sacco da fare. Possiamo passare all'audacia. Dobbiamo passare all'audacia.
Se sei un medico, non so cosa possa voler dire essere audaci in questo momento, quindi non mi permetto di dare suggerimenti. Però so esattamente cosa significhi essere audaci, in questo momento, per gli intellettuali: mettere da parte la tristezza, e pensare: cioè capire, leggere il caos, inventariare i mostri mai visti, dare nomi a fenomeni mai vissuti, guardare negli occhi verità schifose e, dopo che hai fatto tutto questo, prenderti il rischio micidiale di dare a tutti qualche certezza. Al lavoro dunque, ognuno nella misura delle sue possibilità e del suo talento.
Cerco di seguire al suo invito. Anche chi opera nella scuola deve essere, a suo modo, anche audace in questa emergenza. Ma cosa vorrà dire, per un Dirigente Scolastico, essere audace nell’emergenza del Covid-19? In cosa si traduce? Bella domanda…

Secondo spunto: la civiltà digitale, quella che Baricco nel suo libro chiama “The Game”.
Stiamo facendo pace col Game, con la civiltà digitale: l'abbiamo fondata, poi abbiamo iniziato a odiarla e adesso stiamo facendo pace con lei. La gente, a tutti i livelli, sta maturando un senso di fiducia, consuetudine e gratitudine per gli strumenti digitali che si depositerà sul comune sentire e non se ne andrà più. Una delle utopie portanti della rivoluzione digitale era che gli strumenti digitali diventassero un'estensione quasi biologica dei nostri corpi e non delle protesi artificiali che limitavano il nostro essere umani: l'utopia sta diventando prassi quotidiana. In poche settimane copriremo un ritardo che stavamo cumulando per eccesso di nostalgia, timore, sospetto o semplice fighetteria intellettuale. Ci ritroveremo tra le mani una civiltà amica che riusciremo meglio a correggere perché lo faremo senza risentimento.
L’emergenza di prepotenza ha fatto entrare il digitale in modo diffuso e pervasivo nel mondo della scuola: dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria di secondo grado, dalle bambine e dai bambini di tre anni alle ragazze e ai ragazzi di 18 anni. Tutti i docenti i docenti sono stati costretti a utilizzare il digitale per fare didattica a distanza. Tutti hanno dovuto imparare. È un punto di non ritorno. Le diffidenze e le resistenze culturali da parte di qualcuno probabilmente resteranno ancora per qualche tempo ma niente sarà più come prima.

Terzo spunto: i rapporti umani.
Chiunque si è accorto di come gli manchino terribilmente, in questi giorni, i rapporti umani non digitali. Capovolgete questa certezza: vuol dire che ne avevamo un sacco, di rapporti umani. Mentre dicevamo cose tipo "ormai la nostra vita passa tutta dai device digitali", quello che facevamo era ammassare una quantità indicibile di rapporti umani. Ce ne accorgiamo adesso, ed è come un risveglio da un piccolo passaggio a vuoto dell'intelligenza. Non dimenticate la lezione, per favore. Anzi, aggiungetene un'altra: tutto questo ci sta insegnando che più lasceremo srotolare la civiltà digitale più assumerà valore, bellezza, importanza e perfino valore economico tutto ciò che ci manterrà umani: corpi, voci naturali, sporcizie fisiche, imperfezioni, abilità delle mani, contatti, fatiche, vicinanze, carezze, temperature, risate e lacrime vere, parole non scritte, e potrei andare avanti per righe e righe.
In questi giorni sto incontrano tramite video conferenza molti docenti delle mie due scuole. Mi accorgo che è sempre un piacere e una gioia rivederci in viso, parlare assieme, riprendere i contatti. Mi dicono anche che questo è quello che chiedono anche le bambine e i bambini delle scuole dell’infanzia e primaria. Per loro è importante sentite la voce o rivedere il viso dei propri insegnanti. Li rassicura, fa percepire loro che il legame affettivo e la relazione con le maestre e i maestri non si è interrotta, che c’è ancora. Anche le ragazze e i ragazzi della secondaria sono felici di constatare che la comunità della propria scuola c’è ancora, che non li ha abbandonati, che non li ha lasciati soli. Io ho molto insistito, nei messaggi che ho inviato ai docenti, sull’importanza di mantenere i contatti, sul riannodare i legami. Mi fa piacere scoprire che la mia non era una voce isolata. Stiamo riscoprendo che la scuola, innanzitutto, è una comunità, un luogo di relazioni importanti e significative delle quali non si può fare a meno. Credo che ultimamente ce n’eravamo un po’ dimenticati.
E questo mi fa fare un’ulteriore riflessione. Il digitale può essere “freddo” e può essere “caldo”. Freddo se si limita alla sola trasmissione e richiesta di dati (compiti, lezioni, schede di lavoro, ecc.), caldo se cerca, soprattutto, di costruire e mantenere una relazione. Da quello che vedo adesso c’è un forte bisogno di digitale caldo ma credo che sempre e comunque il digitale della scuola debba essere caldo…

Quarto spunto: la fiducia nelle persone competenti.
Una crepa che sembrava essersi aperta come una voragine, e che ci stava facendo soffrire, si è chiusa in una settimana: quella che aveva separato la gente dalle élites. In pochi giorni, la gente si è allineata, a prezzo di sacrifici inimmaginabili e in fondo con grande disciplina, alle indicazioni date da una classe politica in cui non riponeva alcuna fiducia e in una classe di medici a cui fino al giorno prima stentava a riconoscere una vera autorità anche su questioni più semplici, tipo quella dei vaccini. Una classe dirigente che non sarebbe mai riuscita a fare una riforma della scuola è riuscita a chiudere in casa un intero Paese. Cosa diavolo è successo? La paura, si dirà: e va bene. Ma non è solo quello. C'è qualcosa di più, qualcosa che ci aiuta a capirci meglio: nonostante le apparenze, noi crediamo nell'intelligenza e nella competenza, desideriamo qualcuno in grado di guidarci, siamo in grado di cambiare la nostra vita sulla base delle indicazioni di qualcuno che la sa più lunga di noi. La nostra rivolta contro le élites è temporaneamente sospesa, ma questo ci può aiutare a capirla meglio: noi crediamo nell'intelligenza, ma non più in quella dei padri; vogliamo la competenza ma non quella novecentesca; abbiamo bisogno di qualcuno che decida per noi, ma ci siamo immaginati che non venga da una casta imbambolata da sé stessa, stanca e incapace di rigenerarsi. Riassumo. Volevamo una nuova classe dirigente, continuiamo a volerla: possiamo aspettare, adesso non è il momento di fare casino. Ma ricominceremo a volerla il giorno stesso in cui questa emergenza si ricomporrà.
Baricco non parla di scuola, ma credo che quello che dice possa riferirsi anche al rapporto tra i docenti e le famiglie. I messaggi che ricevo in questo periodo da parte dei genitori sono fatti soprattutto di ringraziamenti perché si sono accorti che la scuola c’è e che sta facendo il suo dovere. Qualcuno si lamenta per l’eccessivo carico di lavoro cui sono sottoposti i ragazzi (specie della secondaria), qualcun altro vorrebbe che si utilizzassero strumenti sempre più avanzati (senza rendersi conto che nella classe ci sono compagni dei propri figli che a stento riescono a connettersi con lo smartphone), qualcuno, infine, è sparito - ma sono pochi, per fortuna.  Ma il tono complessivo è di riconoscenza e di fiducia. Fiducia nelle competenze dei docenti. La scuola, credo, sta uscendo bene da questa emergenza.

Quinto spunto: il futuro.
Non me ne intendo, ma ci vuol poco a capire che tutto quello che sta succedendo ci costerà un mucchio di soldi. Molto peggio della crisi economica del 2009, a fiuto. Vorrei dire una cosa: sarà un'opportunità enorme, storica. Se c'è un momento in cui sarà possibile redistribuire la ricchezza e riportare le diseguaglianze sociali a un livello sopportabile e degno, quel momento sta arrivando. Ai livelli di diseguaglianza sociale su cui siamo attualmente attestati, nessuna comunità è una comunità: fa finta di esserlo, ma non lo è. È un problema che mina alla base la salute del nostro sistema, che sbugiarda qualsiasi nostra ipotetica felicità e che si divora qualsiasi nostra credibilità, come un cancro. La difficoltà è che certe cose non si riformano, non si ottengono con un graduale, farmaceutico miglioramento, non si migliorano un tantino al giorno, a piccole dosi. Certe cose cambiano con un movimento di torsione violento, che fa male, e che non pensavi di poter fare. Certe cose cambiano per uno choc gestito bene, per una qualche crisi convertita in rinascita, per un terremoto vissuto senza tremare. Lo choc è arrivato, la crisi la stiamo soffrendo, il terremoto non è ancora passato. I pezzi ci sono tutti, sulla scacchiera, fanno tutti male, ma ci sono: c'è una partita che ci aspetta da un sacco di tempo. Che sciocchezza imperdonabile sarebbe avere paura di giocarla.
La crisi, anche nel mondo della scuola, sta rendendo ancora più evidente la diseguaglianza di risorse e soprattutto di opportunità di cui soffre la nostra società. Ne ho parlato in altri miei post. L’esperienza passata ci mostra che dalle crisi si può uscire ancora peggiori di quanto lo si fosse prima. Credo che dobbiamo mettercela tutta perché questo non accada. Ma non sarà facile…

mercoledì 25 marzo 2020

Una scuola slow


Mi segnala Romina, preziosissima collaboratrice di San Giovanni Teatino, un articolo di Raffaele Iosa: Buona settimana slow, amata scuola della vicinanza.
Raffaele Iosa è un nostro caro amico, è venuto spesso da noi qui a Chieti e ci ha sempre regalato sapere e passione per la scuola.
Non si smentisce certo in questo suo intervento.


L’emergenza e la virtualità ci obbligano a ripensare criticamente alle nostre tradizionali didattiche, altrimenti possono diventare solo noiose e trite lezioni. Forse questa fase avrà l’effetto che dopo, tornati a scuola, si sia migliori. Miracolo dei momenti di crisi.

Mi piacerebbe che la “scoperta” della didattica virtuale come risposta all’emergenza diventasse anche una ri-scoperta (al ritorno in classe) di un attivismo didattico e pedagogico che in questi anni è andato perduto per modelli quantitativi di apprendimenti direttivi, precocismi, schede su schede e lezioni frontali a tutto spiano.

Fornisce anche un po' di indicazioni - preziosissime:

  • Create eventi didattici fatti in modo che i ragazzi vi facciano domande, non invece in cui si chiedono risposte. Cioè una didattica interattiva della ricerca comune non del travaso di saperi. Il momento è questo: una comunità in cammino non un gregge controllato dal cane pastore.
  • Fateli parlare tra di loro. Scambiarsi stati d’animo, ma anche ironia, tristezza, gioia di vedersi, scambio di cosa si è imparato da questo evento. Non è difficile, lo facciamo anche noi con i nostri amici e parenti quando li chiamiamo per sapere come stanno.
  • Rompete lo schema tayloristico di una materia dopo l’altra, mettetevi d’accordo tra di voi per non sovrapporvi l’uno con l’altro a riempire i ragazzi di troppi compiti. È ora di azioni più multidisciplinari possibili, quanto meno di una relazione pensata tra diverse discipline.
  • Tenete fuori il più possibile i genitori. Non per cattiveria e neppure perché anche loro sono affaticati, ma perché babbo e mamma sono utili magari ad aprire le macchine, ma le attività nelle classi virtuali possibili sono buone se i ragazzi si sentono liberi e capaci di autonomia, altrimenti creiamo nuove inutili dipendenze.
  • Valutate sempre, ma non come rito stanco della scuola dei voti (quante chiacchiere su questo tema). I ragazzi hanno bisogno di sapere come va, di fare domande su se stessi, come sul mondo. La didattica della vicinanza aiuta a creare belle strategie di autovalutazione. Non preoccupatevi della pagelle, alimentate tra di voi e loro la valutazione formativa, che valuta sia loro che voi, perché tutti in questa nuova esperienza didattica stiamo imparando, e anche i ragazzi ci insegnano. Avrete tempo dopo di fare una sintesi numerica complessiva, ma adesso conta il rinforzo non il giudizio, la scoperta dell’errore come leva per migliorare non il suo stigma numerico, la differenza di performances come valore non come scala.
  • Cercate insomma di fare una scuola slow, non solo più lenta ma anche più profonda, gustosa, che non riempia per forza di immagini, video, scritti, ma solo quelli giustamente necessari. Il resto se lo cerchino loro, da soli.

Attenzione a chi non ce la fa

Vedo ancora molte difficoltà nei confronti dei ragazzi con disabilità e di quelli che non hanno a casa supporti informatici sufficienti. Sarebbe paradossale e vergognoso che l’emergenza facesse male a chi ha più bisogno. Dunque

  • Per i nostri ragazzini con disabilità: non è questione solo degli insegnanti di sostegno, non lasciateli nell’isolamento, create eventi dove siano tutti presenti e coinvolti, qualche roba di individuale può anche andar bene, ma questo è il momento della cooperazione tra ragazzi dove tutti aiutano tutti. Guai alla formazione di aule virtuali h. Ne fanno già troppe e scuola.
  • Per i ragazzini in difficoltà economiche e senza strumenti: cercate tutti i modi di procurarveli, anche con le collette, nessuna scuola è giustificata a rassegnarsi. Chiamate il sindaco, il parroco, il volontariato, i ricchi pieni di rimorsi per le evasioni fiscali del passato (se ce ne sono). O ci salviamo insieme o siamo tutti perduti.