Il momento dell'audacia
Fa
sentire la sua voce anche Alessandro Baricco, con un interessante intervento su
Repubblica di oggi. Molti spunti intriganti, come suo stile.
Alcuni
mi hanno colpito e mi hanno aiutato a riflettere sulle lezioni che ci sta dando
la terribile emergenza che stiamo vivendo. Con la prospettiva, naturalmente, di
persona di scuola.
Primo
spunto: l’audacia (che dà anche il titolo al suo articolo).
Viene da un bel romanzo svedese. C'è la regina
che decide di imparare ad andare a cavallo. Monta in sella. Poi chiede
sprezzante al maestro d'equitazione se ci sono delle regole. Ed ecco cosa
risponde lui: "Prima regola, prudenza. Seconda, audacia".
Bene, direi che con la prudenza ci stiamo dando
un sacco da fare. Possiamo passare all'audacia. Dobbiamo passare all'audacia.
Se sei un medico, non so cosa possa voler dire
essere audaci in questo momento, quindi non mi permetto di dare suggerimenti.
Però so esattamente cosa significhi essere audaci, in questo momento, per gli
intellettuali: mettere da parte la tristezza, e pensare: cioè capire, leggere
il caos, inventariare i mostri mai visti, dare nomi a fenomeni mai vissuti,
guardare negli occhi verità schifose e, dopo che hai fatto tutto questo,
prenderti il rischio micidiale di dare a tutti qualche certezza. Al lavoro
dunque, ognuno nella misura delle sue possibilità e del suo talento.
Cerco di seguire al suo invito. Anche chi opera
nella scuola deve essere, a suo modo, anche audace in questa emergenza. Ma cosa
vorrà dire, per un Dirigente Scolastico, essere audace nell’emergenza del
Covid-19? In cosa si traduce? Bella domanda…
Secondo spunto: la civiltà digitale, quella che
Baricco nel suo libro chiama “The Game”.
Stiamo facendo pace col Game, con la civiltà
digitale: l'abbiamo fondata, poi abbiamo iniziato a odiarla e adesso stiamo
facendo pace con lei. La gente, a tutti i livelli, sta maturando un senso di
fiducia, consuetudine e gratitudine per gli strumenti digitali che si
depositerà sul comune sentire e non se ne andrà più. Una delle utopie portanti
della rivoluzione digitale era che gli strumenti digitali diventassero
un'estensione quasi biologica dei nostri corpi e non delle protesi artificiali
che limitavano il nostro essere umani: l'utopia sta diventando prassi
quotidiana. In poche settimane copriremo un ritardo che stavamo cumulando per
eccesso di nostalgia, timore, sospetto o semplice fighetteria intellettuale. Ci
ritroveremo tra le mani una civiltà amica che riusciremo meglio a correggere
perché lo faremo senza risentimento.
L’emergenza di prepotenza ha fatto entrare il
digitale in modo diffuso e pervasivo nel mondo della scuola: dalla scuola
dell’infanzia alla scuola secondaria di secondo grado, dalle bambine e dai
bambini di tre anni alle ragazze e ai ragazzi di 18 anni. Tutti i docenti i
docenti sono stati costretti a utilizzare il digitale per fare didattica a
distanza. Tutti hanno dovuto imparare. È un punto di non ritorno. Le diffidenze
e le resistenze culturali da parte di qualcuno probabilmente resteranno ancora
per qualche tempo ma niente sarà più come prima.
Terzo spunto: i rapporti umani.
Chiunque si è accorto di come gli manchino
terribilmente, in questi giorni, i rapporti umani non digitali. Capovolgete
questa certezza: vuol dire che ne avevamo un sacco, di rapporti umani. Mentre
dicevamo cose tipo "ormai la nostra vita passa tutta dai device
digitali", quello che facevamo era ammassare una quantità indicibile di
rapporti umani. Ce ne accorgiamo adesso, ed è come un risveglio da un piccolo
passaggio a vuoto dell'intelligenza. Non dimenticate la lezione, per favore.
Anzi, aggiungetene un'altra: tutto questo ci sta insegnando che più lasceremo
srotolare la civiltà digitale più assumerà valore, bellezza, importanza e
perfino valore economico tutto ciò che ci manterrà umani: corpi, voci naturali,
sporcizie fisiche, imperfezioni, abilità delle mani, contatti, fatiche,
vicinanze, carezze, temperature, risate e lacrime vere, parole non scritte, e
potrei andare avanti per righe e righe.
In questi giorni sto incontrano tramite video
conferenza molti docenti delle mie due scuole. Mi accorgo che è sempre un
piacere e una gioia rivederci in viso, parlare assieme, riprendere i contatti.
Mi dicono anche che questo è quello che chiedono anche le bambine e i bambini
delle scuole dell’infanzia e primaria. Per loro è importante sentite la voce o
rivedere il viso dei propri insegnanti. Li rassicura, fa percepire loro che il
legame affettivo e la relazione con le maestre e i maestri non si è interrotta,
che c’è ancora. Anche le ragazze e i ragazzi della secondaria sono felici di
constatare che la comunità della propria scuola c’è ancora, che non li ha
abbandonati, che non li ha lasciati soli. Io ho molto insistito, nei messaggi
che ho inviato ai docenti, sull’importanza di mantenere i contatti, sul
riannodare i legami. Mi fa piacere scoprire che la mia non era una voce
isolata. Stiamo riscoprendo che la scuola, innanzitutto, è una comunità, un
luogo di relazioni importanti e significative delle quali non si può fare a
meno. Credo che ultimamente ce n’eravamo un po’ dimenticati.
E questo mi fa fare un’ulteriore riflessione. Il
digitale può essere “freddo” e può essere “caldo”. Freddo se si limita alla
sola trasmissione e richiesta di dati (compiti, lezioni, schede di lavoro,
ecc.), caldo se cerca, soprattutto, di costruire e mantenere una relazione. Da
quello che vedo adesso c’è un forte bisogno di digitale caldo ma credo che
sempre e comunque il digitale della scuola debba essere caldo…
Quarto spunto: la fiducia nelle persone
competenti.
Una crepa che sembrava essersi aperta come una
voragine, e che ci stava facendo soffrire, si è chiusa in una settimana: quella
che aveva separato la gente dalle élites. In pochi giorni, la gente si è
allineata, a prezzo di sacrifici inimmaginabili e in fondo con grande
disciplina, alle indicazioni date da una classe politica in cui non riponeva
alcuna fiducia e in una classe di medici a cui fino al giorno prima stentava a
riconoscere una vera autorità anche su questioni più semplici, tipo quella dei
vaccini. Una classe dirigente che non sarebbe mai riuscita a fare una riforma della
scuola è riuscita a chiudere in casa un intero Paese. Cosa diavolo è successo?
La paura, si dirà: e va bene. Ma non è solo quello. C'è qualcosa di più,
qualcosa che ci aiuta a capirci meglio: nonostante le apparenze, noi crediamo
nell'intelligenza e nella competenza, desideriamo qualcuno in grado di
guidarci, siamo in grado di cambiare la nostra vita sulla base delle
indicazioni di qualcuno che la sa più lunga di noi. La nostra rivolta contro le
élites è temporaneamente sospesa, ma questo ci può aiutare a capirla meglio:
noi crediamo nell'intelligenza, ma non più in quella dei padri; vogliamo la
competenza ma non quella novecentesca; abbiamo bisogno di qualcuno che decida
per noi, ma ci siamo immaginati che non venga da una casta imbambolata da sé
stessa, stanca e incapace di rigenerarsi. Riassumo. Volevamo una nuova classe
dirigente, continuiamo a volerla: possiamo aspettare, adesso non è il momento
di fare casino. Ma ricominceremo a volerla il giorno stesso in cui questa
emergenza si ricomporrà.
Baricco non parla di scuola, ma credo che quello
che dice possa riferirsi anche al rapporto tra i docenti e le famiglie. I messaggi
che ricevo in questo periodo da parte dei genitori sono fatti soprattutto di
ringraziamenti perché si sono accorti che la scuola c’è e che sta facendo il
suo dovere. Qualcuno si lamenta per l’eccessivo carico di lavoro cui sono
sottoposti i ragazzi (specie della secondaria), qualcun altro vorrebbe che si
utilizzassero strumenti sempre più avanzati (senza rendersi conto che nella
classe ci sono compagni dei propri figli che a stento riescono a connettersi
con lo smartphone), qualcuno, infine, è sparito - ma sono pochi, per fortuna. Ma il tono complessivo è di riconoscenza e di
fiducia. Fiducia nelle competenze dei docenti. La scuola, credo, sta uscendo
bene da questa emergenza.
Quinto spunto: il futuro.
Non me ne intendo, ma ci vuol poco a capire che
tutto quello che sta succedendo ci costerà un mucchio di soldi. Molto peggio
della crisi economica del 2009, a fiuto. Vorrei dire una cosa: sarà
un'opportunità enorme, storica. Se c'è un momento in cui sarà possibile
redistribuire la ricchezza e riportare le diseguaglianze sociali a un livello
sopportabile e degno, quel momento sta arrivando. Ai livelli di diseguaglianza
sociale su cui siamo attualmente attestati, nessuna comunità è una comunità: fa
finta di esserlo, ma non lo è. È un problema che mina alla base la salute del
nostro sistema, che sbugiarda qualsiasi nostra ipotetica felicità e che si
divora qualsiasi nostra credibilità, come un cancro. La difficoltà è che certe
cose non si riformano, non si ottengono con un graduale, farmaceutico
miglioramento, non si migliorano un tantino al giorno, a piccole dosi. Certe
cose cambiano con un movimento di torsione violento, che fa male, e che non
pensavi di poter fare. Certe cose cambiano per uno choc gestito bene, per una
qualche crisi convertita in rinascita, per un terremoto vissuto senza tremare.
Lo choc è arrivato, la crisi la stiamo soffrendo, il terremoto non è ancora
passato. I pezzi ci sono tutti, sulla scacchiera, fanno tutti male, ma ci sono:
c'è una partita che ci aspetta da un sacco di tempo. Che sciocchezza
imperdonabile sarebbe avere paura di giocarla.
La crisi, anche nel mondo della scuola, sta
rendendo ancora più evidente la diseguaglianza di risorse e soprattutto di
opportunità di cui soffre la nostra società. Ne ho parlato in altri miei post. L’esperienza
passata ci mostra che dalle crisi si può uscire ancora peggiori di quanto lo si
fosse prima. Credo che dobbiamo mettercela tutta perché questo non accada. Ma
non sarà facile…