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martedì 31 marzo 2020


Bambini invisibili e sequestrati in casa


Interviene nuovamente Chiara Saraceno con un articolo su Repubblica sulla condizione dei bambini nell'emergenza Covid-19: Un’ora d’aria per i bambini.
Nell'articolo riferisce di una serie di petizioni da parte di associazioni che richiedono una maggiore attenzione per i diritti e i bisogni delle bambine e dei bambini, specie di quelli che vivono in situazioni di svantaggio.
C’è chi chiede il diritto per i bambini ad un’ora d’aria, diritto riconosciuto dai provvedimenti governativi solo ai cani. Ma, prosegue la Saraceno,
il diritto "all'ora d’aria" è oggetto di una richiesta di genitori di ragazzi con disabilità psichiche (autistici ma non solo) perché questi ragazzi, cui è stata interrotta la routine quotidiana, a volte diventano violenti. Questi genitori lamentano anche l’assenza di previsione di attività e di sostegni specifici da parte della scuola che, oltre a lasciare le famiglie isolate, rischia di innescare un processo irreversibile di peggioramento delle capacità dei ragazzi.
Questa è una delle situazioni più difficili: quella delle bambine e dei bambini con disabilità gravi per i quali è necessario un intervento educativo e riabilitativo di tipo specialistico che purtroppo non è possibile fornire a distanza. Per queste bambine e questi bambini la presenza a scuola costituisce un fattore determinante non solo di crescita e maturazione ma anche di benessere. Per loro la scuola, la scuola in presenza fatta di relazioni concrete e non digitali, è preziosa come l’oro. I docenti delle due scuole che dirigo cercano di stare vicini il più possibile ai bambini e alle loro famiglie bambini, le contattano, condividono con loro messaggi vocali e video, raccomandano esercizi ed attività che potrebbero essere utili. Ma si tratta di poca cosa rispetto alla gravità delle problematiche e al peso che le famiglie devono sopportare.
Ma ci sono anche altre bambine ed altri bambini fragili che hanno perso, in questo periodo, tutto il supporto che offrivano loro i servizi sociali del comune e delle associazioni del terzo settore. Anche in questi casi c’è la generosità e la disponibilità dei singoli che cerca di fornire aiuto alle famiglie nelle situazioni di difficoltà che però, da sola, non può farsi carico delle migliaia di minori in condizione di povertà educativa.
C’è il rischio, fortissimo, che la crisi che si sta delineando e che sicuramente seguirà all'emergenza sanitaria, sarà pagata soprattutto da chi è più debole e fragile, come è già successo negli anni scorsi con la crisi economica e finanziaria. L’ho scritto già in qualche post dei giorni passati: potremmo trovarci, di qui a qualche mese, di fronte ad una società più spaccata e ingiusta.
Per evitarlo occorrerà coraggio e audacia (quell'audacia di cui scrive Baricco…). Audacia soprattutto nelle scelte: i servizi di assistenza ai minori più fragili non dovranno più essere soggetto a tagli mortificanti ma dovranno costituire una priorità negli investimenti, la loro qualità (e non solo la quantità) dovrà essere innalzata e dovrà costituire un esempio di eccellenza.
Ma avremo una classe dirigente audace e all'altezza di questa sfida?  Non lo so, ma intanto, come afferma la Saraceno
Nel decreto "Cura Italia" c’è poco o nulla. […] Tutto è lasciato alle famiglie da un lato, alla disponibilità degli operatori sociali dall'altro, senza sostegni né finanziari né di altro tipo, e senza neppure valorizzazione. Perché il problema non è visto e i bambini e i ragazzi più vulnerabili sono invisibili. Ancora più oggi, "sequestrati in casa".

domenica 29 marzo 2020


Tre cose diverse sul senso di fare scuola in tempo di Covid-19


Tre cose molto diverse tra loro ma legate da uno stesso filo conduttore sul quale sto riflettendo molto in questi giorni.
La prima è un’accorata lettera – che circola sul web - di una mamma che di mestiere fa l’anestesista rianimatore e che si trova in prima linea, in un ospedale lombardo, nella lotta al Covid-19. Ringrazia i docenti e chiede loro aiuto: i ragazzi, in questo momento, hanno bisogno come mai di punti di riferimento, di qualcuno che li aiuti. Sono smarriti e preoccupati, incerti sul futuro; molti di loro devono anche elaborare il lutto della malattia e della perdita di una persona cara. La lettera ci chiede di svolgere il nostro intervento educativo non solo in termini di didattica ma anche e soprattutto nel senso più ampio di riferimento, guida e formazione di individui adulti.
Voi siete i punti di riferimento in un momento di profonda incertezza sul futuro. Con il vostro esserci attivamente attraverso il coinvolgimento, la discussione, l’analisi della situazione, la comprensione, il conforto, il supporto, potete favorire quel senso di continuità e sicurezza così necessario in adolescenza.
Ci richiede un compito difficile ma decisivo per il futuro che aspetta la nostra società: quando questa terribile tragedia che si sta consumando sarà finita, quando si rientrerà alla cosiddetta normalità, i vostri studenti ritorneranno da voi. Ma non saranno gli stessi di prima. Voi sarete fondamentali nell'assisterli nella loro ripresa, fondamentali nell'aiutarli a mantenere la fiducia in loro stessi, a superare le loro angosce, a riparare le loro ferite. Sarete più che mai fondamentali nel compito di continuare a formare adulti solidi.
La seconda è costituita da un bellissimo intervento di due docenti del nostro Istituto Comprensivo n. 4 di Chieti, la prof.ssa Di Cristofaro e la prof. Romagnoli. Il loro intervento nasce dalla consapevolezza 
di dover fare ben altro che semplicemente “tecnologizzare” la nostra didattica e far sentire la nostra presenza ai ragazzi in termini puramente istituzionali. la didattica a distanza non può, e non deve, rappresentare il paradigma di un’asettica assegnazione di compiti e consegne e del loro svolgimento da parte di ragazzi che si sono visti all'improvviso sottrarre ciò che sostanzia davvero la scuola: un’esperienza prima di tutto umana, fatta di sguardi, contatto, empatia tra tutti coloro che, seppur con ruoli diversi, partecipano al dialogo educativo. In questo momento la scuola viene chiamata come non mai a proporsi ai nostri ragazzi come un punto fermo a cui aggrapparsi, e noi insegnanti si diventa il veicolo e il tramite di questa presenza, che per molti di loro rappresenta anche l’ancora di un riscatto familiare, più ampiamente, sociale… E chiudono nel ritenere che occorra sostanziare oggi la professionalità docente di quel giusto equilibrio, spesso molto difficile da trovare, tra la trasmissione dei contenuti e quella “leggerezza” e apertura mentale che ci permetta di dare sempre la priorità al rispetto delle attitudini dei ragazzi, ai loro tempi di apprendimento, ma soprattutto in questo momento, alle loro incertezze, ansie e timori.
È evidente la consonanza con la lettera della mamma anestesista.

La terza cosa è un articolo di Umberto Galimberti apparso sul L’Espresso di questa settimana: Chiusi in casa. Approfittiamone per parlare di più con i nostri figli e aprire un dialogo interiore con noi stessi. Galimberti è già intervenuto su questi temi (su You Tube si può vedere un suo video dedicato a questa tematica). Qui, però, aggiunge alcune considerazioni molto interessanti per chi ha un compito educativo. La prima: dire, nei modi giusti, la verità. Nella vita oltre che il bene c’è anche il male, oltre la gioia c’è anche il dolore, oltre la vita c’è anche la morte. Dovranno avere strumenti che consentano loro di essere in grado di difendersi quando da adulti incontreranno il dolore e la sofferenza. La seconda: leggere assieme a loro i libri di narrativa, perché da essi si apprendono i sentimenti che, a differenza delle pulsioni che ci sono date per natura, sono un’elaborazione culturale. Se si conosce la natura di un sentimento, quando veniamo attaccati dal dolore e dallo sgomento come in questo periodo, siamo in grado di dargli un nome e elaborare una mappa per uscirne. E la grande letteratura è maestra nello spiegare ed insegnare i sentimenti. 

Punti di riferimento umani e culturali, relazioni e sentimenti: elementi forti per comprendere il senso educativo del nostro fare scuola nell'emergenza.

sabato 28 marzo 2020


Alzare gli sguardi

Di solito seguo poco e distrattamente le vicende della chiesa cattolica. Ho poco tempo e lo devo, adesso, dedicare maggiormente ad altre tematiche.
Mi ha però colpito molto, ieri, vedere il Papa Francesco parlare in uno senario unico e, spero, irripetibile: da solo, con le la pioggia e l’imbrunire che scuriva il colonnato di una piazza san Pietro vuota, con il suono delle sirene delle ambulanze in sottofondo.
Ho voluto, perciò leggere il testo completo del suo intervento.
È stata una bellissima lettura. Ho trovato in alcune delle cose che ha detto molta risonanza dei miei pensieri di questi giorni.
Innanzitutto il senso di sgomento che tutti, credenti o meno, abbiamo di fronte alla tempesta di questa pandemia.
“La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all'avversità”.
Ma l’esperienza terribile di questi giorni ci rivela qualcosa.
“Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell'angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme. […] Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli”.
Papa Francesco continua dicendoci che è “tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è, […] di reimpostare la rotta della vita verso gli altri, […] di guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita […] medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo”.
E poi: “Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera”.
Mi fa molto piacere che abbia ricordato gli insegnanti.

venerdì 27 marzo 2020


Essere audaci: riscoprire l’essenziale


Ieri ho commentato l’articolo di Baricco sull’audacia che mi pare ci offra alcuni spunti interessanti anche a noi educatori. Oggi interviene, sempre su Repubblica, Massimo Recalcati. Nelle sue osservazioni trovo molte cose che mi aiutano a riflettere.

Recalcati ci ricorda che la paura riduce gli orizzonti ma che le esperienze traumatiche (e l’emergenza del coronavirus è un’esperienza traumatica) possono avere da parte nostra due diverse risposte: “[…] fingere di tornare a vivere come prima, come se nulla fosse accaduto, dunque misconoscere la portata catastrofica del suo evento, oppure provare a trarre dalla questa impensata potenza negativa una forza nuova. Essere audaci significa per me questo: non misconoscere il trauma, ma prenderlo come un'occasione potente di trasformazione. La psicoanalisi ne fa un caposaldo della sua pratica: la crisi più profonda può sempre rivelarsi come l'occasione straordinaria di una ripartenza”.

Una straordinaria ripartenza: passata l’emergenza sanitaria nulla sarà come prima, scuola compresa. Potrà essere peggiore o migliore, accentuare i propri difetti e limiti o valorizzare il meglio di sé che sta fornendo proprio in questi giorni con l’impegno appassionato e la riscoperta del valore del “fare scuola” della quasi totalità dei suoi operatori. Ma questo richiederà, appunto, audacia.

Ma cosa significherà essere audaci? Anche su questo, mi pare, Recalcati ci fornisce qualche preziosa indicazione, partendo dalla sua esperienza e sapienza di psicanalista.
La crisi “è la cicatrice viva che riconosciamo in tutte quelle persone che si sono trovate di fronte al rischio della loro morte o coinvolti in un lungo periodo di privazione e dolore e che resistendo e sopravvivendo non sono più riusciti a vivere come prima. Come se l'incontro con la possibilità concretissima della loro fine avesse esaltato la loro pulsione di vita. La loro necessità è divenuta quella di voler spendere tutto il tempo che restava della loro vita per l'essenziale; eliminare il superfluo, gli ingombri, l'impotenza e l'utopia astratta per coltivare la potenza vitale dell'essenziale. Questa è per me una formula dell'audacia: liberarsi dei pesi che ostacolano il dispiegamento della forza vitale e scommettere sulla potenza affermativa di questo dispiegamento. Stiamo sperimentando che è diventato possibile quello che ritenevamo impossibile. Nel male questo è avvenuto con l'epidemia. Nessuno poteva immaginare che il mondo potesse fermarsi e la morte dilagare. E nel bene? Non sono già sotto ai nostri occhi le formidabili energie creative che si sono mobilitate in risposta al trauma? Solidarietà, de-burocratizzazione, impresa, flessibilità, importanza finalmente riconosciuta alla sanità e alla scuola pubblica, ai beni comuni, eccetera”.

Eliminare il superfluo, gli ingombri, l’impotenza e l’utopia astratta per coltivare la potenza vitale dell’essenziale. Questa è la lezione che possiamo apprendere. Stiamo riscoprendo l’essenziale del fare scuola, che forse avevamo dimenticato negli ultimi tempi: il valore della comunità scolastica, il tessuto relazionale che si instaura nelle classi, il significato etico della professione docente, la grande rilevanza della scuola per le famiglie italiane, la guida sensata del dirigente, la vera funzione educativa della valutazione.

Da questo dobbiamo ripartire perché la scuola che verrà dopo il corona virus sia migliore e non peggiore di quella che abbiamo dovuto lasciare in fretta il 5 marzo.

giovedì 26 marzo 2020

Il momento dell'audacia

Fa sentire la sua voce anche Alessandro Baricco, con un interessante intervento su Repubblica di oggi. Molti spunti intriganti, come suo stile.
Alcuni mi hanno colpito e mi hanno aiutato a riflettere sulle lezioni che ci sta dando la terribile emergenza che stiamo vivendo. Con la prospettiva, naturalmente, di persona di scuola.

Primo spunto: l’audacia (che dà anche il titolo al suo articolo).
Viene da un bel romanzo svedese. C'è la regina che decide di imparare ad andare a cavallo. Monta in sella. Poi chiede sprezzante al maestro d'equitazione se ci sono delle regole. Ed ecco cosa risponde lui: "Prima regola, prudenza. Seconda, audacia".
Bene, direi che con la prudenza ci stiamo dando un sacco da fare. Possiamo passare all'audacia. Dobbiamo passare all'audacia.
Se sei un medico, non so cosa possa voler dire essere audaci in questo momento, quindi non mi permetto di dare suggerimenti. Però so esattamente cosa significhi essere audaci, in questo momento, per gli intellettuali: mettere da parte la tristezza, e pensare: cioè capire, leggere il caos, inventariare i mostri mai visti, dare nomi a fenomeni mai vissuti, guardare negli occhi verità schifose e, dopo che hai fatto tutto questo, prenderti il rischio micidiale di dare a tutti qualche certezza. Al lavoro dunque, ognuno nella misura delle sue possibilità e del suo talento.
Cerco di seguire al suo invito. Anche chi opera nella scuola deve essere, a suo modo, anche audace in questa emergenza. Ma cosa vorrà dire, per un Dirigente Scolastico, essere audace nell’emergenza del Covid-19? In cosa si traduce? Bella domanda…

Secondo spunto: la civiltà digitale, quella che Baricco nel suo libro chiama “The Game”.
Stiamo facendo pace col Game, con la civiltà digitale: l'abbiamo fondata, poi abbiamo iniziato a odiarla e adesso stiamo facendo pace con lei. La gente, a tutti i livelli, sta maturando un senso di fiducia, consuetudine e gratitudine per gli strumenti digitali che si depositerà sul comune sentire e non se ne andrà più. Una delle utopie portanti della rivoluzione digitale era che gli strumenti digitali diventassero un'estensione quasi biologica dei nostri corpi e non delle protesi artificiali che limitavano il nostro essere umani: l'utopia sta diventando prassi quotidiana. In poche settimane copriremo un ritardo che stavamo cumulando per eccesso di nostalgia, timore, sospetto o semplice fighetteria intellettuale. Ci ritroveremo tra le mani una civiltà amica che riusciremo meglio a correggere perché lo faremo senza risentimento.
L’emergenza di prepotenza ha fatto entrare il digitale in modo diffuso e pervasivo nel mondo della scuola: dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria di secondo grado, dalle bambine e dai bambini di tre anni alle ragazze e ai ragazzi di 18 anni. Tutti i docenti i docenti sono stati costretti a utilizzare il digitale per fare didattica a distanza. Tutti hanno dovuto imparare. È un punto di non ritorno. Le diffidenze e le resistenze culturali da parte di qualcuno probabilmente resteranno ancora per qualche tempo ma niente sarà più come prima.

Terzo spunto: i rapporti umani.
Chiunque si è accorto di come gli manchino terribilmente, in questi giorni, i rapporti umani non digitali. Capovolgete questa certezza: vuol dire che ne avevamo un sacco, di rapporti umani. Mentre dicevamo cose tipo "ormai la nostra vita passa tutta dai device digitali", quello che facevamo era ammassare una quantità indicibile di rapporti umani. Ce ne accorgiamo adesso, ed è come un risveglio da un piccolo passaggio a vuoto dell'intelligenza. Non dimenticate la lezione, per favore. Anzi, aggiungetene un'altra: tutto questo ci sta insegnando che più lasceremo srotolare la civiltà digitale più assumerà valore, bellezza, importanza e perfino valore economico tutto ciò che ci manterrà umani: corpi, voci naturali, sporcizie fisiche, imperfezioni, abilità delle mani, contatti, fatiche, vicinanze, carezze, temperature, risate e lacrime vere, parole non scritte, e potrei andare avanti per righe e righe.
In questi giorni sto incontrano tramite video conferenza molti docenti delle mie due scuole. Mi accorgo che è sempre un piacere e una gioia rivederci in viso, parlare assieme, riprendere i contatti. Mi dicono anche che questo è quello che chiedono anche le bambine e i bambini delle scuole dell’infanzia e primaria. Per loro è importante sentite la voce o rivedere il viso dei propri insegnanti. Li rassicura, fa percepire loro che il legame affettivo e la relazione con le maestre e i maestri non si è interrotta, che c’è ancora. Anche le ragazze e i ragazzi della secondaria sono felici di constatare che la comunità della propria scuola c’è ancora, che non li ha abbandonati, che non li ha lasciati soli. Io ho molto insistito, nei messaggi che ho inviato ai docenti, sull’importanza di mantenere i contatti, sul riannodare i legami. Mi fa piacere scoprire che la mia non era una voce isolata. Stiamo riscoprendo che la scuola, innanzitutto, è una comunità, un luogo di relazioni importanti e significative delle quali non si può fare a meno. Credo che ultimamente ce n’eravamo un po’ dimenticati.
E questo mi fa fare un’ulteriore riflessione. Il digitale può essere “freddo” e può essere “caldo”. Freddo se si limita alla sola trasmissione e richiesta di dati (compiti, lezioni, schede di lavoro, ecc.), caldo se cerca, soprattutto, di costruire e mantenere una relazione. Da quello che vedo adesso c’è un forte bisogno di digitale caldo ma credo che sempre e comunque il digitale della scuola debba essere caldo…

Quarto spunto: la fiducia nelle persone competenti.
Una crepa che sembrava essersi aperta come una voragine, e che ci stava facendo soffrire, si è chiusa in una settimana: quella che aveva separato la gente dalle élites. In pochi giorni, la gente si è allineata, a prezzo di sacrifici inimmaginabili e in fondo con grande disciplina, alle indicazioni date da una classe politica in cui non riponeva alcuna fiducia e in una classe di medici a cui fino al giorno prima stentava a riconoscere una vera autorità anche su questioni più semplici, tipo quella dei vaccini. Una classe dirigente che non sarebbe mai riuscita a fare una riforma della scuola è riuscita a chiudere in casa un intero Paese. Cosa diavolo è successo? La paura, si dirà: e va bene. Ma non è solo quello. C'è qualcosa di più, qualcosa che ci aiuta a capirci meglio: nonostante le apparenze, noi crediamo nell'intelligenza e nella competenza, desideriamo qualcuno in grado di guidarci, siamo in grado di cambiare la nostra vita sulla base delle indicazioni di qualcuno che la sa più lunga di noi. La nostra rivolta contro le élites è temporaneamente sospesa, ma questo ci può aiutare a capirla meglio: noi crediamo nell'intelligenza, ma non più in quella dei padri; vogliamo la competenza ma non quella novecentesca; abbiamo bisogno di qualcuno che decida per noi, ma ci siamo immaginati che non venga da una casta imbambolata da sé stessa, stanca e incapace di rigenerarsi. Riassumo. Volevamo una nuova classe dirigente, continuiamo a volerla: possiamo aspettare, adesso non è il momento di fare casino. Ma ricominceremo a volerla il giorno stesso in cui questa emergenza si ricomporrà.
Baricco non parla di scuola, ma credo che quello che dice possa riferirsi anche al rapporto tra i docenti e le famiglie. I messaggi che ricevo in questo periodo da parte dei genitori sono fatti soprattutto di ringraziamenti perché si sono accorti che la scuola c’è e che sta facendo il suo dovere. Qualcuno si lamenta per l’eccessivo carico di lavoro cui sono sottoposti i ragazzi (specie della secondaria), qualcun altro vorrebbe che si utilizzassero strumenti sempre più avanzati (senza rendersi conto che nella classe ci sono compagni dei propri figli che a stento riescono a connettersi con lo smartphone), qualcuno, infine, è sparito - ma sono pochi, per fortuna.  Ma il tono complessivo è di riconoscenza e di fiducia. Fiducia nelle competenze dei docenti. La scuola, credo, sta uscendo bene da questa emergenza.

Quinto spunto: il futuro.
Non me ne intendo, ma ci vuol poco a capire che tutto quello che sta succedendo ci costerà un mucchio di soldi. Molto peggio della crisi economica del 2009, a fiuto. Vorrei dire una cosa: sarà un'opportunità enorme, storica. Se c'è un momento in cui sarà possibile redistribuire la ricchezza e riportare le diseguaglianze sociali a un livello sopportabile e degno, quel momento sta arrivando. Ai livelli di diseguaglianza sociale su cui siamo attualmente attestati, nessuna comunità è una comunità: fa finta di esserlo, ma non lo è. È un problema che mina alla base la salute del nostro sistema, che sbugiarda qualsiasi nostra ipotetica felicità e che si divora qualsiasi nostra credibilità, come un cancro. La difficoltà è che certe cose non si riformano, non si ottengono con un graduale, farmaceutico miglioramento, non si migliorano un tantino al giorno, a piccole dosi. Certe cose cambiano con un movimento di torsione violento, che fa male, e che non pensavi di poter fare. Certe cose cambiano per uno choc gestito bene, per una qualche crisi convertita in rinascita, per un terremoto vissuto senza tremare. Lo choc è arrivato, la crisi la stiamo soffrendo, il terremoto non è ancora passato. I pezzi ci sono tutti, sulla scacchiera, fanno tutti male, ma ci sono: c'è una partita che ci aspetta da un sacco di tempo. Che sciocchezza imperdonabile sarebbe avere paura di giocarla.
La crisi, anche nel mondo della scuola, sta rendendo ancora più evidente la diseguaglianza di risorse e soprattutto di opportunità di cui soffre la nostra società. Ne ho parlato in altri miei post. L’esperienza passata ci mostra che dalle crisi si può uscire ancora peggiori di quanto lo si fosse prima. Credo che dobbiamo mettercela tutta perché questo non accada. Ma non sarà facile…

mercoledì 25 marzo 2020

Una scuola slow


Mi segnala Romina, preziosissima collaboratrice di San Giovanni Teatino, un articolo di Raffaele Iosa: Buona settimana slow, amata scuola della vicinanza.
Raffaele Iosa è un nostro caro amico, è venuto spesso da noi qui a Chieti e ci ha sempre regalato sapere e passione per la scuola.
Non si smentisce certo in questo suo intervento.


L’emergenza e la virtualità ci obbligano a ripensare criticamente alle nostre tradizionali didattiche, altrimenti possono diventare solo noiose e trite lezioni. Forse questa fase avrà l’effetto che dopo, tornati a scuola, si sia migliori. Miracolo dei momenti di crisi.

Mi piacerebbe che la “scoperta” della didattica virtuale come risposta all’emergenza diventasse anche una ri-scoperta (al ritorno in classe) di un attivismo didattico e pedagogico che in questi anni è andato perduto per modelli quantitativi di apprendimenti direttivi, precocismi, schede su schede e lezioni frontali a tutto spiano.

Fornisce anche un po' di indicazioni - preziosissime:

  • Create eventi didattici fatti in modo che i ragazzi vi facciano domande, non invece in cui si chiedono risposte. Cioè una didattica interattiva della ricerca comune non del travaso di saperi. Il momento è questo: una comunità in cammino non un gregge controllato dal cane pastore.
  • Fateli parlare tra di loro. Scambiarsi stati d’animo, ma anche ironia, tristezza, gioia di vedersi, scambio di cosa si è imparato da questo evento. Non è difficile, lo facciamo anche noi con i nostri amici e parenti quando li chiamiamo per sapere come stanno.
  • Rompete lo schema tayloristico di una materia dopo l’altra, mettetevi d’accordo tra di voi per non sovrapporvi l’uno con l’altro a riempire i ragazzi di troppi compiti. È ora di azioni più multidisciplinari possibili, quanto meno di una relazione pensata tra diverse discipline.
  • Tenete fuori il più possibile i genitori. Non per cattiveria e neppure perché anche loro sono affaticati, ma perché babbo e mamma sono utili magari ad aprire le macchine, ma le attività nelle classi virtuali possibili sono buone se i ragazzi si sentono liberi e capaci di autonomia, altrimenti creiamo nuove inutili dipendenze.
  • Valutate sempre, ma non come rito stanco della scuola dei voti (quante chiacchiere su questo tema). I ragazzi hanno bisogno di sapere come va, di fare domande su se stessi, come sul mondo. La didattica della vicinanza aiuta a creare belle strategie di autovalutazione. Non preoccupatevi della pagelle, alimentate tra di voi e loro la valutazione formativa, che valuta sia loro che voi, perché tutti in questa nuova esperienza didattica stiamo imparando, e anche i ragazzi ci insegnano. Avrete tempo dopo di fare una sintesi numerica complessiva, ma adesso conta il rinforzo non il giudizio, la scoperta dell’errore come leva per migliorare non il suo stigma numerico, la differenza di performances come valore non come scala.
  • Cercate insomma di fare una scuola slow, non solo più lenta ma anche più profonda, gustosa, che non riempia per forza di immagini, video, scritti, ma solo quelli giustamente necessari. Il resto se lo cerchino loro, da soli.

Attenzione a chi non ce la fa

Vedo ancora molte difficoltà nei confronti dei ragazzi con disabilità e di quelli che non hanno a casa supporti informatici sufficienti. Sarebbe paradossale e vergognoso che l’emergenza facesse male a chi ha più bisogno. Dunque

  • Per i nostri ragazzini con disabilità: non è questione solo degli insegnanti di sostegno, non lasciateli nell’isolamento, create eventi dove siano tutti presenti e coinvolti, qualche roba di individuale può anche andar bene, ma questo è il momento della cooperazione tra ragazzi dove tutti aiutano tutti. Guai alla formazione di aule virtuali h. Ne fanno già troppe e scuola.
  • Per i ragazzini in difficoltà economiche e senza strumenti: cercate tutti i modi di procurarveli, anche con le collette, nessuna scuola è giustificata a rassegnarsi. Chiamate il sindaco, il parroco, il volontariato, i ricchi pieni di rimorsi per le evasioni fiscali del passato (se ce ne sono). O ci salviamo insieme o siamo tutti perduti.


Una buona didattica a distanza

Giancarlo Cerini ci presenta le sue riflessioni sulla didattica a distanza. Si tratta, come al solito, di un intervento sobrio, competente contenente molti stimoli di riflessione.
Elenco quelli, a mio parere, maggiormente significativi.
1.    La didattica a distanza non può essere una riproposizione della didattica in presenza
In generale la didattica a distanza sembra funzionare, quando la scuola non esagera o non pensa di replicare la giornata scolastica in presenza in una giornata didattica “virtuale”: i ragazzi e gli insegnanti non reggerebbero l’impatto e tutto sarebbe inutile.
2.    Ricostruire la relazione empatica – ricreare le routine
Una buona scuola, di questi tempi, non si preoccupa solo dell’apprendimento dei suoi allievi, ma cerca di ricostruire una relazione empatica, come base sicura anche per invogliare curiosità cognitive, voglia di impegnarsi, per ridare senso allo studio e alla scuola “che non c’è”. Ed il rapporto con la scuola, con un calendario di impegni prefissati giorno dopo giorno (senza l’ossessione di riempire tutte le ore “buche”) può svolgere la funzione di creare una nuova routine, un ritmo giusto per le giornate dei nostri ragazzi.
3.    Il genitore tutor per i bambini più piccoli
Il primo contatto con le tecnologie sarà mediato dai genitori (anch’essi diventano dei possibili tutor, che significa: “aiutami a fare da solo”).
4.    La riscoperta del valore etico della professione docente
Ho visto tanti insegnanti, di tutti i livelli scolastici, riscoprire il senso profondo, quasi etico, del loro lavoro (e noi esterni, forse, lo possiamo riscoprire “sbirciando” sulle web-cam attivate nelle classi virtuali).
5.    Un’occasione importante
L’attuale situazione critica è una occasione importante per insegnanti e studenti, per dialogare e interrogarsi su questo scenario inaspettato, sul senso delle lezioni che si fanno insieme, sul valore delle conoscenze, della cultura, dei libri, dell’impegno e dello studio.
6.    Requisiti di una buona didattica a distanza
·         ogni allievo abbia la possibilità di connessione (e il decreto-legge n. 18 del 17 marzo 2020 mette a disposizione delle scuole fondi per l’acquisto e la consegna ai ragazzi di devices e strumenti appropriati),
·         gli insegnanti usufruiscano di una formazione supplementare (affinché la didattica a distanza non sia solo fare lezioni in video, ma interagire effettivamente con gli allievi),
·         il curricolo scolastico sia effettivamente “dimensionato” (ad esempio non dovrebbe andare oltre il 50% del tempo dell’orario obbligatorio: non basta stare in rete, bisogna poi studiare, sintetizzare, documentare, organizzarsi).

7.    La valutazione
In queste settimane deve avere la precedenza la valutazione formativa, cioè fornire agli allievi informazioni sull’andamento del loro lavoro, sui livelli di attenzione e di partecipazione, sull’iniziativa e la responsabilità, senza voti. Non significa che va tutto bene, che gli insegnanti si accontentano di qualsiasi risposta o comportamento, perché daranno riscontri agli allievi anche sui punti critici, sulle disattenzioni, sulle carenze, sul recupero necessario, ma in una ottica di miglioramento e di sostegno alla motivazione. […] La valutazione deve essere sincera, ma incoraggiante. Altrimenti si crea il classico circolo vizioso: insufficienza, demotivazione, difficoltà, senso di inadeguatezza, che porta diritto all’insuccesso scolastico (sia esso in presenza che a distanza).

martedì 24 marzo 2020

Il divario digitale


Segnalo questo interessantissimo e attualissimo approfondimento sul tema del divario digitale che in questi giorni, noi operatori scolastici, stiamo constatando in tutta la sua drammaticità.

Non tutti, purtroppo, hanno le stesse opportunità e l'utilizzo massimo del digitale nell'istruzione al quale siamo costretti si sta rivelando un potentissimo fattore di emarginazione, specie per i bambini più fragili.

C'è il rischio - fortissimo - che la società che ci troveremo una volta terminata l'emergenza sanitaria sia, oltre che più povera, anche più ineguale.

Massimo Mantellini: Il divario digitale è una zavorra per l'Italia (Internazionale, 23 marzo 2020)


Recuperare il tempo perduto altrove


Franco Lorenzoni (Piantiamo semi con i nostri figli - Repubblica del 17 marzo 2020) ci ha regalato qualche giorno fa delle sue preziose proposte a genitori ed educatori per questi momenti difficili che stiamo vivendo.

Questo incredibile mese di marzo, nonostante le preoccupazioni e difficoltà che avviliscono tanti, offre a genitori e figli una straordinaria rottura di abitudini, che apre a domande, possibilità e relazioni inedite.

Le sue proposte sono centrate sulla riscoperta del valore e del significato del tempo.

È comprensibile l’ansia di insegnanti e dirigenti, che vorrebbero arrivare ai propri allievi anche a distanza, per paura che qualche conoscenza faticosamente costruita si disperda al vento. Ma per i bambini della scuola primaria, forse, più che sperimentare piattaforme strutturate di educazione a distanza, dovremmo tentare di offrire qualche proposta che aiuti a rendere questo strano tempo esperienza da esplorare e fonte di conoscenza.

Ora che la pericolosa velocità di diffusione di un virus costringe tutti a frenare e rallentare ogni cosa, perché non indagare questa nuova dimensione del tempo in cui tutti ci troviamo a vivere, facendone stimolo di dialogo aperto, desiderio e conoscenza da sperimentare insieme.

[Perché allora, tra genitori e insegnanti, non ci scambiamo suggerimenti sensati per indagare il tempo e il suo senso, giovandoci dell’odierno straniamento? «Il tempo è come il vento — notò anni fa una bambina in terza elementare —. È trasparente e non si vede». «Però quando sei vecchio sì che te ne accorgi che è passato», aggiunse ironico un compagno.

Concentriamoci allora e non perdiamo l’occasione di questo improvviso rallentamento. Ma non possiamo riappropriarci del tempo senza riappropriarci della nostra memoria. E dunque, nei giorni che trascorriamo in casa, dovremmo osare spegnere per qualche ora la quantità impressionante di memorie esterne che circondano le nostre vite di adulti e di bambini e provare a fare a meno di quella intermittenza dell’attenzione reciproca, che è una delle fonti di maggior sofferenza per i più piccoli.

Ogni volta che mi capita di incontrare i genitori in occasione delle socializzazioni di Natale mi viene sempre da dire loro: approfittate delle vacanze dei prossimi giorni per cercare di stare più tempo possibile con i vostri figli. Ne hanno bisogno loro e ne avete bisogno voi. Purtroppo la vita “normale” che conduciamo ci sta rubando sempre di più il tempo per fare le cose più preziose, come stare con i propri cari. Il tempo oggi è sempre più prezioso, perché ne abbiamo sempre meno a disposizione. Ce lo ruba il lavoro, ce lo rubano l’ansia e lo stress.

Adesso il coronavirus ce ne restituisce tanto: ci sta costringendo a fare una pausa, una lunga pausa. Non credo che sarà facile approfittarne. Le preoccupazioni sono tante e noi non siamo più abituati a gestire le relazioni con tempi lunghi e distesi.

Cerchiamo di farlo, però, nelle relazioni con i nostri cari e anche nell’attività di didattica a distanza.

lunedì 23 marzo 2020


Una buona notizia:

 un cartone animato senza barriere



Leggo su Repubblica di oggi.

Lampadino e Caramella nel MagiRegno degli Zampa (20 episodi da 6 minuti ciascuno), disponibile su Rai-Play e dal 29 marzo alle 16.50 su Rai YoYo (il canale dedicato ai più piccoli) è un cartone animato rivoluzionario per metodologia, inclusivo e senza barriere. «Il primo e unico rivolto a tutti i bambini, con o senza deficit sensoriali. Attori recitano nella Lis (Lingua Italiana del Segni)», spiega Andrea Martini che con la Animundi (fondata insieme a Raffaele Bortoni) e Rai Ragazzi produce la serie, «la voce di Giuseppe Zeno, il nostro magnifico narratore, racconta ai bambini ciechi ciò che accade, così il cartone animato diventa un audio racconto. Il divertimento non deve avere barriere, è di tutti».
Personaggi, forme, colori, parole, musica e ritmo sono pensati per adattarsi alla sensibilità dei bambini tra i 2 e i 6 anni. «L’inclusione è essenziale, il servizio pubblico deve essere vicino anche ai bambini che affrontano maggiori difficoltà e alle loro famiglie», spiega Luca Milano, direttore di Rai Ragazzi. «La serie promuove lo scambio di esperienze. Il cartoon inclusivo è un’idea nata anni fa con la società Animundi; sono partiti con un prototipo che ci era sembrato bello. Lavorando in coproduzione siamo riusciti a creare un cartone animato sociale, visibile da tutti, anche dai piccoli nello spettro dell’autismo, infastiditi dai colori troppo forti e delle musiche invasive. Le audiodescrizioni e il linguaggio dei segni coinvolgono chi ha altri problemi: ci piace l’idea che in questi giorni possiamo riunire tutti davanti alla tv».

È una bella notizia: i principi dell'Universal Design for Learning applicati ai cartoni animati. Sicuramente da seguire e da consigliare a genitori e docenti.

domenica 22 marzo 2020

Due messaggi per la scuola in tempo di didattica a distanza


Trovo su vita.it due importanti contributi sul fare scuola in questi momenti.

Il primo è di Daniela Lucangeli.


"Gli insegnanti smettano di trattare gli alunni come contenitori vuoti da riempire con schede, compiti, messaggi e materiali fino tarda sera. Anziché affannarsi e consumarsi nella ricerca di piattaforme e slide dagli effetti strabilianti, tornino a concentrarsi sulla loro funzione primaria che è quella di aiutare, sostenere e accompagnare i bambini e i ragazzi nel loro percorso di sviluppo personale, infondendo loro curiosità verso le cose della vita e fiducia nelle proprie capacità. [...]
In questi giorni i ragazzi hanno una paura tremenda, sono smarriti, in ansia, hanno perso i contatti con il loro gruppo, la loro routine è stavolta. Quello di cui hanno più urgenza è di essere sostenuti e rassicurati, non ulteriormente angosciati e terrorizzati dalla paura di rimanere indietro, che il computer non funzioni, che la connessione salti, che il compito non arrivi per tempo".

Il secondo è di Dario Ianes.

Il sostegno ai tempi del Coronavirus: tre consigli per includere anche a distanza

"Con le scuole chiuse è partita un’ampia serie di iniziative di didattica online, che però creano forti difficoltà a chi ha una disabilità e certamente pone un tema di disuguaglianze per tutta un’altra fascia di alunni. Due sono i fronti, in questo momento. Da un lato scuola inclusiva significa scuola per tutti, anche per gruppi vulnerabili, gli immigrati, gli alunni con DSA ecc: lì si crea una accentuazione evidente della disuguaglianza. Sul versante disabilità in senso stretto abbiamo invece il tema di che sostegno riusciamo a dare a questi alunni, ricordando che “integrazione” non è solo imparare cose ma è anche relazioni."

Due contributi che ci aiutano a non dimenticare la dimensione educativa che è comunque sottesa ad ogni attività didattica di insegnamento / apprendimento, anche di quelle a distanza.
Le difficoltà, la fretta, le preoccupazioni non ce la devono far perdere.






Mantenere i contatti…



In questi giorni, per mantenere i contatti con alunni, genitori e docenti, sto utilizzando molto i video che, grazie all'aiuto preziosissimo di Elisabetta e Romina (non smetterò mai di ringraziarle), pubblico su You Tube. Cerco di spiegare, orientare, fornire qualche riferimento educativo, didattico, organizzativo. Cerco soprattutto di mantenere in piedi le relazioni, i rapporti. Cerco di tenere in piedi la comunità scolastica.
Credo che vedere la faccia e sentire la voce di una persona, di un dirigente, sia molto meglio che leggere le sue circolari. Non è facile progettare, realizzare e revisionare un video, specie per chi è inesperto come me. Cerco, soprattutto, di non assumere un ruolo istituzionale (non sono né Mattarella né Conte, né un governatore di una Regione…) e cerco di essere autentico, di parlare come parlo tutti i giorni.
La cosa mi porta via tempo. Ma sono contento di farlo.
Un docente mi ha inviato un messaggio dopo aver visto un mio video. Mi ha detto che mi ha percepito come un padre che, in momenti difficili, guida e rassicura i propri figli dando loro dei punti di riferimento. È, forse, uno dei più belli apprezzamenti che abbia mai ricevuto.


Un diario in tempo di crisi



Ho deciso di riaprire il mio blog.

Era tanto tempo che non ci scrivevo. Quattro anni.
In realtà non ne ho avuto tempo. Il lavoro di dirigente in questi ultimi tempi mi ha molto preso. Mi sono sentito (e mi sento ancora) un preside in trincea. Ma di questo ne parlerò un’altra volta.
Tanti impegni e poche, pochissime pause per pensare e rilassarsi. Ho preferito dedicarle alla famiglia e a cose lontane dal mondo della scuola.
Ma adesso in questi spaventosi momenti mi trovo con più pause, più tempo e meno contatti diretti e, credo, mi faccia molto bene riaprire questo diario che può essere un buon strumento per riflettere, ragionare, condividere pensieri.
E così riprendo a scrivere.