Si è celebrata ieri la
giornata contro la violenza sulle donne. Si è trattato di un evento importante,
voluto
dall’ONU con la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999,
che forse avrebbe meritato un’attenzione maggiore da parte del mondo della
scuola.
Vorrei proporre a questo
proposito qualche riflessione partendo da quanto detto dal presidente della
Camera Laura Boldrini: “Il fenomeno della
violenza di genere ha un carattere strutturale e culturale, affonda le radici
su antichi pregiudizi e stereotipi. In mancanza di un cambiamento nel nostro
modo di parlare e guardare non vi sarà un reale cambiamento, finché non si
comprenderà che la sottorappresentazione e la rappresentazione offensiva della
donna riguarda in primo luogo gli uomini. Vanno educati al rispetto, occorre
coinvolgerli o non ci saranno progressi”. E in effetti anche le più recenti
ricerche sottolineano quanto pesino sul fenomeno le convinzioni distorte
radicate nella mentalità dei maschi. Per sconfiggere la violenza sulle donne,
perciò, non sono sufficienti le leggi per quanto severe ed efficaci esse
possano essere. Occorre innestare una vera e propria “rivoluzione culturale”
che modifichi nel profondo sia il permanere di un’immagine stereotipata della
figura femminile, ancora incentrata su logiche afferenti l’accudimento
(matrimonio, famiglia, casa, figli), in particolare tra gli uomini, sia l’implicito «codice di comportamento» che
regola il rapporto tra i sessi, nel quale permane ancora largamente diffuso un
retaggio antico, in cui il potere è fortemente sbilanciato in favore
dell’uomo.
Credo che la scuola possa
svolgere un ruolo molto importante in tutto ciò. Ma si tratta di un compito per
nulla semplice.
Sono rimasto molto turbato
dai risultati di un’indagine
svolta sui ragazzi dal portale Skuola.net: 1 studente su 5 ha alzato le mani nei
confronti della sua ragazza e 1 studentessa su 2 afferma di essere disposta a
perdonare uno schiaffo del suo ragazzo. Questa stessa indagine ci consegna
altri dati allarmanti: 1 studente su 3 racconta di essere a conoscenza di
episodi di violenza sulle ragazze, e il 20% nemmeno si scandalizza troppo; il 35%
di loro giustifica il gesto con il classico e scontato “se l’era proprio
cercata”, mentre il restante 65% dice tranquillamente che uno schiaffo ogni
tanto alla propria fidanzata “ci sta”. Sembra proprio che anche tra le nuove
generazioni ci sia ancora tanto da lavorare.
Il vicepresidente del Senato Valeria Fedeli ha presentato un Disegno di
legge per introdurre l’educazione di genere all’interno della scuola.
Iniziativa senza dubbio lodevole nelle intenzioni e che risponde a delle
precise indicazioni contenute nell’art. 14 della Convenzione
del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti
delle donne e la violenza domestica.
Credo che l’iniziativa meriti qualche
riflessione più attenta per evitare che non si trasformi nell’ennesima buona
intenzione con scarse o nulle ricadute effettive.
Cerco
di spiegarmi meglio. Nell’intervista
che la senatrice ha concesso a Repubblica afferma che “alle elementari i libri parlano di bambine che cucinano o cullano le
bambole e maschietti che giocano con le costruzioni, eppure in orbita ora mi
pare ci sia una donna. Il problema è che in questo modo li si inchioda a
stereotipi non lasciandoli liberi di seguire altre inclinazioni. Si dice che le
bambine devono essere brave, ubbidienti e che i bambini non devono piangere ma
vincere" e che "imparano
una grammatica dei sentimenti sbagliata che si chiude attorno a loro come una
gabbia, perché esclude la complessità di ogni essere. È un errore dire che
piangere è da femmine ed essere forti è da maschi, tutti siamo forti e fragili
allo stesso tempo e una lacrima non esclude tenacia, anzi". Io non credo che la rappresentazione che
emerge della Scuola Primaria da queste affermazioni sia realistica e
corrisponda a quanto avviene quotidianamente nelle nostre classi. Io constato,
piuttosto, una grande cura ed attenzione da parte dei docenti (quasi tutte
donne – occorre ricordarlo) a presentare in maniera diversa i rapporti tra i
sessi e ad educare al rispetto e al rifiuto dei pregiudizi. Forse l’azione
dovrebbe essere più incisiva nei gradi successivi di scuola, come ci mostra
l’indagine di Skuola.net.
Ma
la mia preoccupazione maggiore è che l’iniziativa si limiti alla pura e
semplice introduzione dell’ ”ora della differenza di genere” all’interno del
curricolo, alla sola presentazione di contenuti che poco possono incidere su
convinzioni profonde radicate nella cultura delle famiglie. Le numerose buone
pratiche ci insegnano che non si tratta di fornire qualche contenuto in più
quanto, piuttosto, di intervenire sull’educazione all’affettività, sulle
relazioni, su clima della classe. E su tutto questo possediamo un grande
patrimonio di esperienze che occorrere valorizzare e diffondere.
È
indubbio che la scuola debba svolgere un suo compito per sconfiggere questa
profonda ferita nel tessuto dei rapporti tra i sessi. Si tratta di un compito cruciale
soprattutto se si tiene conto che la scuola rappresenta l’ambiente di
socializzazione primario e di confronto tra i sessi per i bambini e i ragazzi. La
scuola si impegna già e si impegnerà sicuramente anche nel futuro in questa
battaglia. Credo però che sarebbe sbagliato far carico ai soli docenti di questo
compito come, purtroppo, spesso è accaduto in passato quando sono partite
campagne di sensibilizzazione su tanti altri temi importanti. La battaglia
della scuola sarà sicuramente persa se non verrà accompagnata da iniziative che
coinvolgano anche le famiglie, il mondo dello spettacolo (quante vallette
ancora ci sono nei programmi televisivi!), lo sport, la pubblicità, ecc.
Ma
potremo davvero contare sull’impegno di tutti in questa battaglia di civiltà?
Questa è una battaglia da fare e da condividere. A scuola, dove apprendimento e affettività si alimentano reciprocamente, occorre educare alla cittadinanza, al riconoscimento di se stessi e della propria libertà. A scuola occorre ragionare sulla percezione e sulle emozioni che abbiamo del prossimo e dell’altro.
RispondiEliminaA proposito del primato della persona sul genere U. Galiberti nel libro “I miti del nostro tempo” afferma che “Non è sufficiente che le donne entrino nella storia spinte solo dall’ostinata rivendicazione di ciò di cui finora la storia le ha private. E’ necessario un passo in più. E a compierlo devono essere insieme uomini e donne. Il loro cammino deve prender le mosse da una rinuncia, la rinuncia ad assumere l’identità virile come specchio e modello di ogni altra identità. Si tratta infatti di un’identità che gli uomini devono smettere di rivendicare e le donne di imitare”.
Il dialogo, dentro e fuori della scuola, potrà in parte contribuire a superare le barriere di genere e a rimuovere la violenza alle donne.
Grazie del commento.
RispondiEliminaSegnalo un intervento di Gramellini sulla proposta di legge Fedeli:
http://www.lastampa.it/2014/11/26/cultura/opinioni/buongiorno/bambole-e-bambocci-lHKm7ZBYcmnFYehL3qK2TL/pagina.html
Sul Corriere della Sera - http://27esimaora.corriere.it/articolo/a-scuola-parliamo-di-violenza/ - leggo un'indagine svolta un po' di tempo fa sugli stereotipi di genere. I dati emersi sono preoccupanti.
EliminaQui si legge che in una società "dove tutto si consuma in fretta" e i ragazzi "percepiscono la violenza come un modo naturale di esprimere i sentimenti", la scuola deve educare anche alla parità di genere.
Nella nostra scuola ne abbiamo parlato e ne parliamo. La progettazione delle attività però dovrebbe essere più sistematica e diffusa, e coinvolgere anche le famiglie.