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domenica 30 novembre 2014

Chi paga i conti della crisi?


Un pomeriggio molto interessante trascorso ad assistere alla tavola rotonda di presentazione e commento del Rapporto Immigrazione Caritas e Migrantes 2013.
Molti gli interventi interessanti tra cui quello del nostro vescovo, Bruno Forte, del direttore generale della Fondazione Migrantes della Cei, Giancarlo Perego e del  parlamentare Khalid Chaouki.
Un aspetto mi ha particolarmente colpito e concerne in particolare il rapporto tra la crisi e diritti delle persone. La crisi, in effetti, non colpisce solamente la condizione economica delle persone, diminuendo i loro redditi, ma intacca profondamente anche quelli che sono i loro diritti: al lavoro, alla salute, alla casa, ad un salario equo, a ricongiungersi con i loro cari, a condizioni di vita e di lavoro dignitose. La crisi favorisce lo sviluppo di quei comportamenti che conducono alla negazione parziale o totale di quell’insieme di diritti che tutelano la condizione delle persone in ogni aspetto della propria vita. Ciò vale soprattutto per le fasce più deboli tra le quali, naturalmente, sono da collocarsi i migranti. C’è il rischio di uscire dalla crisi con una società non solo più povera, ma anche e soprattutto più ingiusta, meno solidale.
Non si può non notare come sia soprattutto la Chiesa Cattolica in Italia a segnalare questo pericolo e come si impegni quotidianamente nella battaglia per la difesa dei diritti delle persone. Ben diverso, al momento, appare invece l’operato della politica.


Non è un caso che un’analoga preoccupazione emerga dal rapporto dell’Unicef: Figli della recessione. L'impatto della crisi economica sul benessere dei bambini nei paesi ricchi.
Anche in questo rapporto emerge come la recessione abbia peggiorato la condizione di vita di un gran numero di minori. Se da un lato il benessere delle famiglie è diminuito a causa della perdita del posto di lavoro o della sottoccupazione il rapporto sottolinea principalmente come, d’altro canto, la crisi del debito pubblico abbia costretto i governi a modificare le proprie politiche di welfare con conseguente indebolimento dei diritti dei bambini in ambiti fondamentali, come quelli della sanità, dell'istruzione e della nutrizione.  Meno reddito, meno tutela, maggiori privazioni materiali. Ma soprattutto l’Unicef evidenzia come “i bambini più poveri e maggiormente vulnerabili hanno sofferto in modo sproporzionato. In alcuni paesi in cui la povertà infantile complessiva è diminuita, si è assistito all'aumento della diseguaglianza, un dato che sembrerebbe indicare che le riforme fiscali e i trasferimenti sociali destinati ad aiutare i bambini più poveri si sono rivelati parzialmente inefficaci”. La responsabilità della politica è stata perciò rilevante. “ Ma – si chiede infatti il rapporto - se in precedenza si fossero implementate politiche di tutela più solide e se queste fossero state rafforzate durante la recessione, quanti bambini in più sarebbe stato possibile aiutare?”. Nel rapporto Unicef viene fatta una grave affermazione: un’intera generazione è stata messa da parte a causa delle politiche con le quali i governi hanno affrontato la recessione. “Si tratta di una scoraggiante inversione di rotta per quella che era stata una tendenza positiva in termini di consolidamento dei diritti dei giovani. I progressi compiuti nel campo dell'istruzione, della salute e della tutela sociale negli ultimi 50 anni sono ora a rischio”. Eppure sarebbe interesse di tutti aiutare i bambini perché essi costituiscono il nostro futuro e i danni che si compiono adesso avranno un effetto a lungo termine. Vale la pena esaminare perciò con un po’ di attenzione i dati del rapporto riferiti al nostro paese che indicano – in modo purtroppo inequivocabile – come ci collochiamo agli ultimi posti nella tutela dell’infanzia. La mancanza di una vera politica in Italia sull’infanzia non fa ben sperare per il futuro.


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