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domenica 9 novembre 2014

L'infanzia dimenticata ne "La buona scuola"

(foto da “Illuminiamo il futuro” – Save the Children Italia ONLUS)

Vorrei continuare a proporre qualche elemento di riflessione sui servizi educativi per la prima infanzia che, nel post precedente, ho rilevato praticamente assenti nel documento “La buona scuola”.
Consiglio, a questo proposito, la lettura di un interessante volume pubblicato dall’Associazione TreeLLLe e dalla Fondazione Rocca: “I numeri da cambiare. Scuola, università e ricerca. L’Italia nel confronto internazionale”, un capitolo del quale (pagg. 33-36) è dedicato ai servizi per l’infanzia (0-2 anni) e alla scuola dell’infanzia (3-5 anni). Attraverso l’analisi di dati quantitativi ricavati da varie fonti ufficiali – nazionali ed internazionali – vengono proposte alcune considerazioni.
1. “La letteratura scientifica (pedagogica, sociologica, economica) sottolinea sempre di più l’importanza di una esposizione precoce ad una socializzazione scolastica come condizione che favorisce il successivo percorso scolastico, principalmente perché espone ad una maggior stimolazione i bambini che provengono da ambienti culturalmente poveri. Inoltre, la dotazione di istituzioni rivolte all’infanzia permette ai genitori, segnatamente alle donne, di conciliare più facilmente la vita lavorativa con la cura dei figli”. Non è un caso, infatti, che la più importante pubblicazione internazionali sulle politiche per la prima infanzia (OCSE:Starting Strong II. Early childhood education and care) intitoli così i suoi primi capitoli: “The rise of the service economy and the influx of women into salaried employment”, “Reconciling work and family responsibilities in a manner more equitable for women” e “Early childhood education and care as a public good. Anche la Commissione europea ha manifestato nello sviluppo dei servizi per la prima infanzia un grande potenziale per la lotta all’esclusione sociale e per lo sviluppo; essa ha più volte sottolineato la necessità di garantire servizi di qualità e inclusivi con particolare attenzione all’accesso dei bambini in situazione di disagio socio-economico.
2. I servizi per la prima infanzia (0-2 anni), in Italia, sono considerati prevalentemente servizi a domanda individuale. L’utente deve cioè coprire una quota dei costi, quota che varia a seconda delle realtà territoriali dal 5.7% della Sicilia e al 26.4% della Regione Marche a fronte di una media nazionale pari al 18%. Ma sono molto diversificate sul territorio anche l’offerta e la copertura di tali servizi: si passa 28.1% della regione Emilia - Romagna al 2.7% della Calabria con una media nazionale del 12,7%. È facilmente riscontrabile perciò un forte squilibrio nelle opportunità educative offerte ai bambini nei diversi territori: le percentuali di Comuni in cui vi è un servizio per l’infanzia e quelle dei bambini accolti sono inferiori alla media nazionale in tutte le regioni del Sud e nelle Isole. Siamo ancora lontani dall’obiettivo stabilito a Barcellona (pag. 12 delle conclusioni del Consiglio Europeo del 15 e 16 maggio 2002) che fissa al 33% la percentuale dei bambini sotto i tre anni di età accolti in un servizio educativo: solo il 26% dei nostri bambini risulta inserito in servizi per l’infanzia pubblici e privati, o in una scuola dell’infanzia prima del compimento del terzo anno. Ci collochiamo così al 12° posto ben distanti da paesi come la Danimarca (74%), la Svezia (51%) e la Francia (44%).
3. Un altro importante documento – I diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza in Italia del gruppo CRC-  (documento che dovrebbe essere attentamente letto e studiato da chi si occupa di servizi per l’infanzia) riporta altri dati significativi: nel 2012, il 13,5% dei bambini sotto i tre anni ha usufruito dell’offerta comunale di servizi per l’infanzia (nidi 11,8%, servizi integrativi 1,6%). Si stima che a questa percentuale vada aggiunto un ulteriore 4% di bambini accolti in servizi privati non sovvenzionati da fondi pubblici. Rispetto all’anno precedente vi è stata una lieve flessione (-0,5%) attribuibile soprattutto alla diminuzione dei servizi integrativi per l’infanzia, mentre risulta immutata la percentuale nazionale dei bambini accolti nel nido. Non sono ancora disponibili i dati aggiornati all’anno educativo 2013 e a quello 2014, ma con preoccupazione si segnala da più parti come in molti Comuni si assista a un alto numero di rinunce alla frequenza del nido, da parte di famiglie non più in grado di pagare le rette o escluse dal servizio per il venir meno dell’occupazione della madre.
4. Diversa la situazione nella scuola dell’Infanzia: più del 94% dei bambini tra 3 e 6 anni ormai la frequenta. Ma tra gli utenti delle scuole dell’infanzia troviamo anche un numero elevato di bambini sotto i tre anni (pari al 5,1% degli alunni e al 15,7% della popolazione in età), mentre ben l’8,9% dei bambini di 5 anni è già inserito nella scuola primaria. La presenza di questi bambini anticipatari, accolti quindi in contesti non appropriati all’età, è particolarmente rilevante nelle regioni meridionali e nelle Isole (7,6% di bambini sotto i tre anni nella scuola dell’infanzia e 17,3% di bambini di cinque anni nella scuola primaria). È evidente come la scarsità di nidi e di altri servizi per l’infanzia orienti le famiglie verso un inserimento precoce nell’unico percorso educativo disponibile, con conseguenze che si riverberano su tutto il percorso dell’istruzione. La scuola dell’Infanzia viene così a sovraffollarsi e a caricarsi di compiti educativi che non le sono propri.
5. Ma non basta fermarsi ai soli dati quantitativi. Sempre il rapporto OCSE “Starting Strong II” sottolinea come la qualità rappresenti l’elemento decisivo per valutare i servizi realizzati dai vari paesi. Anche se c’è notevole disaccordo concettuale su cosa significhi qualità per l’OCSE, comunque, servizi carenti possono danneggiare più dell’assoluta mancanza di servizi. In particolare sembra che la dimensione custodialistica tenda ad affermarsi sempre più a scapito di quella educativa dal momento che richiede minori risorse economiche e professionali sia quantitative che qualitative.
6. Indubbiamente la crisi economica e i conseguenti tagli alle risorse degli Enti Locali ha comportato una forte riduzione degli investimenti nelle politiche sociali da parte degli stessi. Il documento del gruppo CRC sopra citato elenca minuziosamente i ritardi e le inadempienze delle politiche per i minori di questi ultimi anni. Ma soprattutto sottolinea come il nostro paese sconti l’assenza di un sistema di politiche per l’infanzia e l’adolescenza, inteso come quadro coerente di leggi, norme, procedure, imputazioni di ruoli e responsabilità, risorse.
7. Non credo che si sbagli se si afferma che la condizione dell’infanzia è peggiorata in conseguenza della crisi economica e delle politiche che sono state condotte per affrontarla negli ultimi anni. Ed è evidente che siano soprattutto i bambini delle famiglie maggiormente investite dalla crisi economica a pagare il prezzo di questo peggioramento: minori servizi, minori opportunità educative, minore equità, minore inclusione sociale. Si veda a questo proposito il rapporto di Save the Children, “Child poverty and social exclusion in Europe”. Non investire sull’infanzia vuol dire non investire sul futuro. La società italiana dei prossimi decenni sarà la conseguenza delle scelte politiche ed economiche di questi anni nei confronti dell’infanzia.
Spiace, perciò, che ne “La buona scuola” di questo non si parli, come se la formazione e l’educazione dei futuri cittadini iniziasse solo dopo i 6 anni.

1 commento:

  1. Negli studi di psicologia dell'età evolutiva, si ribadisce in modo quasi categorico
    che tutta la formazione della personalità dell'individuo risiede nello sviluppo dei primi sei anni di vita. Quindi grande attenzione dovrebbe dedicarsi in questa prima fase della vita di una persona. Eppure questa constatazione pare non essere considerata molto, neppure da chi opera in campo educativo. Sono nella scuola dell'infanzia da anni e, con grande umiltà, ho lavorato arricchendomi molto, soprattutto anche dagli errori involontari che facciamo. Quanti bambini sono arrivati con difficoltà, fragilità, bisogni, richieste silenziose che insieme alle colleghe ho accolto. Quanti bambini abbiamo visto rifiorire. Neppure l'uno percento capisce il nostro lavoro. Colpisce la bellezza di una socializzazione (sebbene rappresenti il risultato individuale o di gruppo di un percorso), ma nessuno si accorge, però, dello sforzo di un bimbo che è riuscito a vincere la propria emotività ed è riuscito ad esprimersi. Noi cogliamo nei loro occhi la gioia di avercela fatta. ''Maestra, sono capace! Ce la posso fare!" E, nel cuore, tu sai di aver fatto nascere una fiducia. E' diverso dalla conquista di imparare a leggere scrivere. Ci vuole metodo e, prima o poi, si riesce. La battaglia più grossa la combattiamo con noi e la nostra personalità. Poco importa se un bimbo va alla scuola primaria e non sa contare. E' importante che sappia ascoltare, comprendere, riflettere, argomentare, analizzare, ipotizzare, trovare soluzioni, relazionare ,cooperare, sappia prendere iniziative, sappia essere autonomo e, la cosa più importante, che sappia credere in sé stesso, e che, comunque vada, nella vita sarà una persona unica e speciale. Quante volte, invece, dalle insegnanti della scuola primaria, mi sono sentita dire "Ma questo bambino non conosce l'alfabeto?" - Le guardavo in silenzio e pensavo "Non sai da dove è partito questo bambino e il percorso che ha fatto per essere quello che è oggi, anche se a voi sembra poco". Non è colpa di nessuno, ma viviamo troppo presi, ciascuno di noi, dalle proprie realtà, da non avere neppure il tempo di conoscere e comprendere quella degli altri. Grazie dirigente, insieme a Italo La Rovere, è tra i pochi che ho incontrato e che ha compreso questa piccola Cenerentola di tutto l'ordinamento scolastico, che è la scuola dell'infanzia.

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