(immagine da www.scritturacorsiva.it)
Un paio di temi di discussione apparsi
sulla rete e nei quotidiani negli ultimi giorni ci spingono a riflettere sull’insegnamento della scrittura a scuola.
La prima discussione riguarda il tema. Aperto da un
intervento di Francesco
Dell’Oro sul Corriere della Sera (La
scuola che non sa scrivere), pone l’attenzione sul fatto che le persone
della generazione dell’autore (che è il responsabile del Servizio di Orientamento
Scolastico del Comune di Milano) non sanno scrivere. E propone perciò l’abolizione
del tema in classe e la sua sostituzione con dei laboratori di scrittura. “È così difficile avviare nelle nostre
scuole un laboratorio di scrittura? Non costa nulla. Facciamolo! Ma quattro o
cinque volte al mese e con due momenti di valutazione nel quadrimestre.
L’obiettivo non è quello di misurarli a ogni tentativo di scrittura, ma di
appassionarli a questo esercizio. Vivaddio, che si tengano sul banco quello che
vogliono. Devono imparare a scrivere! A tritare e a sbrogliare le informazioni.
Che è poi quello che facciamo, ogni volta, noi adulti quando dobbiamo preparare
un articolo, scrivere un libro o altro.”
Gli ha replicato
Armando Massarenti su Il Sole 24 Ore (Col
tema si impara a ragionare) difendendo, invece, l'importanza
dell'argomentazione, della logica, che sarebbero al centro del tema, di contro
alla creatività che si vorrebbe sviluppare nei laboratori di scrittura.
La discussione,
francamente, non mi ha entusiasmato. Vi ho ritrovato tesi ed argomentazioni
vecchie di decenni lontanissime da quelli che sono gli approdi della ricerca
didattica sulla produzione scritta. Credo che il problema sia quello che ho
segnalato in altri post di questo blog: la mancanza in molti interventi della
stampa e della rete di una cultura scientifica delle cose dell’educazione. Se
la discussione, invece di vertere su di una questione didattica avesse
riguardato una questione sanitaria o economica o tecnologica credo che si
sarebbe richiesto il parere di un esperto, di qualcuno cioè che opera nel
settore e che, soprattutto, ha fatto e fa ricerca. Questo non accade
praticamente mai quando si parla di scuola. Ecco perché gli interventi nelle
discussioni sono spesso di una banalità disarmante.
Più vivace la
discussione sul corsivo. Il pretesto è stato fornito dalla notizia, in parte
erronea, che in Finlandia è stato abolito
l’insegnamento della scrittura in corsivo nella scuola. La questione non è
nuova. Già altri paesi si sono orientati nella stessa direzione della Finlandia
ritenendolo un oggetto antiquato non più funzionale e perciò inutile. Particolarmente
radicale a questo proposito, la posizione
di Italo Farnetani pediatra ed esperto del mondo dei bambini e del loro
linguaggio. “Dal punto di vista
psicopedagogico i bambini hanno bisogno per crescere che ci sia una continuità
tra lo stile di vita, la relazione con l’ambiente e quello che gli viene
proposto a scuola. Se il corsivo ormai non esiste sui libri che leggiamo, né
sul computer, né su Internet, né sugli smartphone, né sui social network,
perché usarlo a scuola?”.
Naturalmente ci sono
molti che, invece, si sono schierati in difesa
dell’insegnamento del corsivo
rilevando l’importanza dell’apprendimento del corsivo nello sviluppo
psicologico e cognitivo dei bambini e segnatamente “quanto sia cruciale nella crescita, nel rapporto occhio-mano, nella
sequenzialità delle parole che si riflette in sequenzialità del pensiero,
nell’originalità del tratto e nelle competenze di analisi e sintesi in rapida
sequenza. […] Ha una valenza profonda nell’acquisizione di competenze basilari
di ordine cognitivo e psicomotorio e di abilità manuali e di pensiero”. (Bye
bye, corsivo. E l’America si divide).
Personalmente non ho
una posizione ben definita in materia perché non sono un esperto di
insegnamento di scrittura ai bambini. Ho solo il ricordo della fatica che ho
fatto ad imparare a scrivere in corsivo (ho ancora una pessima grafia come mi
dicevano i miei genitori e mi ricordano ancora il DSGA e gli assistenti
amministrativi della scuola quando devono leggere ed interpretare i miei appunti
scritti a mano). Ma conservo ancora il gusto dello scrivere con la
stilografica, su carta di qualità e, soprattutto, mi fa tanto piacere quando
ricevo un biglietto di auguri o di saluti scritto a mano. Mi hanno perciò molto
colpito le osservazioni contenute in un interessantissimo sito, Scrittura Corsiva, di Monica Dengo.
Ma mi sembra giusto
affidarmi agli esperti. Cosa dicono i docenti della primaria in proposito?
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