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sabato 27 dicembre 2014

Buon anniversario, Neuromante!

(immagine da www.librimondadori.it/)

Sono trascorsi esattamente trent’anni da quando fu pubblicato la prima volta il romanzo di William Gibson, Neuromante (Neuromancer). Si tratta di un’opera importante perché è considerata la capostipite di un vero e proprio genere letterario, il cyberpunk. Neuromante forse non è un grande capolavoro letterario: lo stile è per me a volte troppo “barocco” e faccio fatica a seguire il filo della narrazione a causa delle numerose espressioni gergali. Altri romanzi cyberpunk sono forse più riusciti sul piano letterario. Ma si tratta comunque un’opera fondamentale. A differenza di altri romanzi dello stesso genere, infatti, possiede una straordinaria capacità profetica. Anticipa cioè, in maniera davvero sconvolgente, alcuni degli scenari del nostro attuale presente, ben difficili da prevedere trent’anni fa.
Il cyberspazio, innanzitutto. Molto prima che nascesse il World Wide Web Gibson ci parla di una realtà virtuale nella quale una rete universale di dati ha creato un ambiente artificiale all’interno del quale gli umani possono entrare e viaggiare, vivendo sensazioni ed emozioni. Viene tratteggiato poi il dominio pervasivo delle grandi multinazionali dell’informazione che sfruttano il potere loro fornito dal controllo dei grandi archivi di dati. E, non ultime, le radicali modifiche che la tecnologia ha apportato alla vita degli uomini, modifiche che non erano state previste dai suoi creatori. “La strada trova da sola i suoi usi delle cose”: i corpi sono dotati di protesi meccaniche mentre droghe sintetiche e ingegneria neuronale modificano i cervelli delle persone.
La visione cyberpunk è manifestamente pessimistica, nella più genuina tradizione distopica della science fiction americana: “è la constatazione che la tecnologia non possiede un'intrinseca natura se non quella che le viene dai più profondi istinti umani. E poiché nell'intimo siamo ancora più propensi alla sopraffazione che all'altruismo, ecco che la tecnologia (apparentemente pacifica) del XXI secolo può metterci in catene. Non a caso i protagonisti dei romanzi sono degli hacker solitari che vivono ai margini della società, in costante fuga da questa cupa realtà e, in qualche misura, la combattono.” (Nicola La Gioia, "Neuromante", quel capolavoro rivoluzionario che ha anticipato il XXI secolo)
Non potevo non collegare l’anniversario di questo romanzo ad un articolo apparso qualche giorno fa su l’Espresso: Siamo tutti sudditi di Google e Facebook. Si tratta di un articolo che evidenzia il potere acquisito dalle aziende della Silicon Valley “attraverso il controllo dei dati personali di miliardi di persone e dall’immensa forza derivante dal fatto che i loro prodotti - motori di ricerca, mail, social network etc - sono sempre più indispensabili nella vita quotidiana di tutti. E se oggi si facesse un referendum per chiedere se rinunciare a Facebook o al Parlamento, chissà come andrebbe a finire”. Appare uno scenario più simile all’universo distopico di Neuromante che non a quello ottimista descritto da qualche guru del web. Un’analisi altrettanto lucida la possiamo trovare anche nel libro di Federico Rampini, Rete Padrona, la cui lettura consiglio caldamente a chi vuole avere un’idea precisa e critica di dove ci può condurre una tecnologia dell’informazione e della comunicazione senza regole.

Cosa c’entra la scuola in tutto questo? Io credo che rivesta un ruolo molto importante. Deve cercare di resistere alla tentazione delle sirene che illudono che nelle tecnologie ci siano tutte le scorciatoie per risolvere ogni problema di insegnamento ed apprendimento. Deve, soprattutto, educare. Educare all’uso critico e critico della tecnologia, che consenta di rendere la vita migliore a tutti noi e non ci renda dei consumatori dipendenti in balia del potere di pochi.

2 commenti:

  1. Come non pensare al romanzo 1984 di G. Orwell, dove “la libertà è schiavitù”.
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    1. In effetti è la stessa tradizione distopica anglosassone

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