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domenica 12 aprile 2020


Il coraggio nella paura


Massimo Recalcati ci regala oggi un ennesimo bellissimo intervento su Repubblica.
Dopo essere intervenuto qualche giorno fa sullo spunto fornito da Baricco (l’audacia necessaria a uscire dall'emergenza), adesso riflette sull'angoscia che genera il trauma del Covid-19
Non sull'angoscia generata dalla paura del contagio, la prima che abbiamo vissuto e che abbiamo in qualche modo risolto in “un sentimento inedito di solidarietà e di unità nazionale […] Il noi ha prevalso sull'io, il carattere individualistico della libertà ha lasciato il posto all'idea collettiva della libertà come solidarietà”.
Ci parla, invece di un’altra angoscia che sta emergendo adesso: quella della perdita del mondo. Niente sarà più come prima: “i cambiamenti che l'epidemia ci impone non saranno solo misure provvisorie ma altereranno inevitabilmente la nostra vita insieme”. Recalcati evidenzia come la convivenza con il Covid-19 cui necessariamente saremo obbligati comporterà lo “schiacciare i soggetti più fragili in una condizione di totale dipendenza e gettare nell'impotenza quelli con un potenziale generativo più alto. Per i primi l'angoscia è quella di abbandono, per i secondi è quella dell'immobilità. Per gli uni l'angoscia è quella della sopravvivenza, per gli altri è quella della morte professionale e imprenditoriale.”
È questa l’angoscia che viviamo oggi: riaprire alla vita, alla socialità, alla quotidianità in presenza ancora del male, del virus che sarà ancora con noi fintantoché non avremo a disposizione un vaccino o una terapia efficace.
Questa è la sfida alla quale siamo oggi chiamati. “Compito di una comunità è certamente quello della protezione della vita, soprattutto dei soggetti più fragili, ma è anche quello, come accade nel mito biblico del profeta Noè, sopravvissuto alla catastrofe del diluvio, di saper piantare la vigna. Le parti migliori di noi e del nostro Paese sono quelle che assomigliano a Noè; il "resto salvato" dalla distruzione, le forze positive che resistono alla devastazione del male. Ma nel nostro caso la vigna esige di essere piantata anche se attorno c'è ancora morte e distruzione. Non potrà accadere alla fine del diluvio, ma in una zona di transito, fatalmente incerta. È questa la durissima prova di realtà che questo trauma collettivo esige e che non si potrà rinviare”. È questa la situazione in cui ci troviamo: un’instabile zona di mezzo, “non la luce o le tenebre, ma la luce obliqua nelle tenebre; non la paura o il coraggio, ma il coraggio nella paura”.

Saremo in grado di affrontare questa sfida? Quale potrà essere il contributo di noi educatori?

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