Si è tenuto martedì
pomeriggio al Pomilio un incontro – dibattito su “La buona scuola”. L’incontro
è risultato molto stimolante, sicuramente più di quello tenuto qualche giorno
fa a L’Aquila che mi è sembrato più formale e “ingessato”.
Il merito, credo, vada
senza dubbio a chi lo ha condotto: il Direttore dell’USR Abruzzo Ernesto
Pellecchia e l’ex Direttore, Carlo Petracca.
I temi, stavolta, sono stati approfonditi con un respiro ampio che ha
senza dubbio contribuito a mantenere elevato il tono della discussione.
Cerco di sintetizzare
quelli che, a mio parere, sono risultati gli aspetti più importanti della
discussione.
1. Davanti
alle innovazioni è necessario non essere né apocalittici né integrati ma porsi
in maniera serena e intelligente. Il documento non è certo perfetto ma l’aver
avviato una consultazione estesa su di esso costituisce di fatto un evento importante
e inedito nella nostra scuola.
2. L’eliminazione
del precariato per circa 150.000 docenti ha molti aspetti positivi che vanno
dalla stabilizzazione professionale (ed esistenziale) di così tante persone
all’opportunità per le scuole di avere a disposizione, mediante l’organico
funzionale, maggiori risorse. Si tratta di capire come potranno essere in
effetti utilizzate tali risorse.
3. La
valutazione dei docenti non è più un tabù. Se ne può parlare e discutere sulle
modalità più efficaci per realizzarla, modalità che dovrebbero valorizzare
soprattutto la qualità della pratica quotidiana didattica. Ma anche la
reputazione professionale può costituire un importante elemento di valutazione.
4. L’alternanza
scuola – lavoro costituisce sicuramente un’importante esperienza formativa che,
però, deve essere estesa anche ai ragazzi ed alle ragazze dei licei.
5. Il
documento sembra presentare un eccesso di “istruzionismo” trascurando quella
che forse è la vera emergenza: la crisi etica ed educativa della nostra società.
Anche io sono intervenuto
nella discussione e ho cercato di portare un contributo segnalando quelle che,
a mio parere, sono due importanti dimenticanze del documento che pure ha il
merito di aver rilanciato una riflessione ampia e partecipata sul nostro
sistema scolastico.
Le dimenticanze riguardano
due settori a torto considerati come “marginali” del nostro sistema scolastico.
Il primo è quello della Scuola dell’Infanzia: non mi sembra di
avervi trovato accenni nel documento. Eppure l’esperienza e anche la ricerca nazionale
ed internazionale da molto tempo ormai ne hanno segnalato l’importanza individuando
anzi proprio nella frequenza della Scuola dell’Infanzia un fattore decisivo di
riduzione del rischio di insuccesso scolastico nei gradi successivi. E la
situazione italiana non è proprio brillante: come ha rilevato l’Unicef in una
ricerca del 2008 il nostro paese rispetta i parametri minimi solo di quattro
dei dieci indicatori della qualità dei servizi per la prima infanzia. Non può
certo consolarci il fatto che altri paesi (come gli Stati Uniti) siano in una
situazione peggiore della nostra. Si vedano, a tale proposito, le riflessioni
che Norberto
Bottani
ha dedicato a questa tematica. In realtà il nostro paese non pare che abbia una
vera e propria politica per l’infanzia nonostante tutte le affermazioni dei
politici che hanno proclamato la difesa della famiglia quale pilastro della
propria azione di governo. Ci si augura che il Disegno di Legge
n. 1260 attualmente in discussione al Senato possa
speditamente condurre alla nascita di una vera e propria politica organica per
la prima infanzia con un forte investimento di risorse. Il nostro paese ne ha
davvero bisogno.
La seconda dimenticanza
concerne invece l’educazione degli adulti. Anche di questo
importante settore del nostro sistema scolastico non ho trovato traccia nel
documento “La buona scuola”. Eppure anche in questo caso si tratta di un tema
centrale e fondamentale che dovrebbe costituire occasione di riflessione e di stimolo
specie in un’epoca come la nostra caratterizzata da processi quali la crescita
dell’immigrazione, la crisi economica, le profonde e rapidissime trasformazioni
culturali e tecnologiche. Sono perciò da condividere alcune delle osservazioni
che ha mosso al documento Fiorella
Farinelli, che
ne ha sottolineato principalmente i silenzi relativamente alle tematiche dell’intercultura.
Un investimento sull’educazione degli adulti consentirebbe da un lato di
offrire “una seconda possibilità” a quei ragazzi in qualche modo sfuggiti al
normale percorso formativo e che, in gran parte, appartengono alle categorie a
più alto rischio e, dall’altro, di sviluppare politiche di accoglienza e inclusione
per chi proviene da altre culture. I segnali, a questo proposito, non sono
proprio incoraggianti: lo testimonia, tra l’altro, la scelta di transitare
dagli attuali CTP (Centri Territoriali Permanenti per l’educazione degli adulti
– decentrati su base distrettuale e ospitati per lo più presso degli istituti comprensivi)
ai futuri CPIA (Centri Provinciali d’Istruzione per Adulti – dotati di
autonomia e perciò con un proprio personale, un proprio dirigente scolastico, delle
proprie risorse un proprio bilancio) senza un minimo investimento di risorse
(umane, finanziarie, materiali).
Spero che il futuro ci
porti una maggiore attenzione a questi due importanti settori del nostro
sistema scolastico penalizzati forse perché hanno una minore visibilità
rispetto agli altri e, di conseguenza, ancora troppo trascurati.
Per “seguire il filo di ciò che non c’è” nella Buona Scuola, come ribadisce il titolo dell’articolo di Fiorella Farinelli sopra segnalato, riflettevo sull’assenza nel documento dell’italiano.
RispondiEliminaNel quarto capitolo (“Ripensare ciò che si impara a scuola”) si parla dell’insegnamento della musica, della storia dell’arte, dello sport, delle lingue straniere, delle nuove tecnologie, dell’economia. Non una parola sull’italiano, forse disciplina troppo scontata, ma che nella scuola di oggi deve fare lo sforzo di coniugare conoscenze indispensabili, come la grammatica, l’affinamento delle abilità di base (ascoltare, parlare, leggere e scrivere), con le suggestioni che arrivano dalla società e che devono assolutamente stimolare il docente ad attualizzare i contenuti da proporre ad alunni sempre più distratti e disinteressati.
Proprio per questo e per altro ancora nella Buona Scuola era necessario uno sguardo attento a una disciplina ricca, forse troppo ricca e non sempre di facile inquadramento, ma che sicuramente è parte di “ciò che si impara a scuola”.
Per riflettere sul ruolo dell’insegnante nella scuola di oggi, consiglio la lettura del libro di Massimo Recalcati “L’ora di lezione” (Einaudi) che ho letto con piacere e da cui traggo questa frase: “Un insegnamento degno di questo nome non inquadra, non uniforma, non produce scolari, ma sa animare il desiderio di sapere.”