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domenica 2 novembre 2014

Qualche dimenticanza della buona scuola


Si è tenuto martedì pomeriggio al Pomilio un incontro – dibattito su “La buona scuola”. L’incontro è risultato molto stimolante, sicuramente più di quello tenuto qualche giorno fa a L’Aquila che mi è sembrato più formale e “ingessato”.
Il merito, credo, vada senza dubbio a chi lo ha condotto: il Direttore dell’USR Abruzzo Ernesto Pellecchia e l’ex Direttore, Carlo Petracca.  I temi, stavolta, sono stati approfonditi con un respiro ampio che ha senza dubbio contribuito a mantenere elevato il tono della discussione.
Cerco di sintetizzare quelli che, a mio parere, sono risultati gli aspetti più importanti della discussione.
1.    Davanti alle innovazioni è necessario non essere né apocalittici né integrati ma porsi in maniera serena e intelligente. Il documento non è certo perfetto ma l’aver avviato una consultazione estesa su di esso costituisce di fatto un evento importante e inedito nella nostra scuola.
2.    L’eliminazione del precariato per circa 150.000 docenti ha molti aspetti positivi che vanno dalla stabilizzazione professionale (ed esistenziale) di così tante persone all’opportunità per le scuole di avere a disposizione, mediante l’organico funzionale, maggiori risorse. Si tratta di capire come potranno essere in effetti utilizzate tali risorse.
3.    La valutazione dei docenti non è più un tabù. Se ne può parlare e discutere sulle modalità più efficaci per realizzarla, modalità che dovrebbero valorizzare soprattutto la qualità della pratica quotidiana didattica. Ma anche la reputazione professionale può costituire un importante elemento di valutazione.
4.    L’alternanza scuola – lavoro costituisce sicuramente un’importante esperienza formativa che, però, deve essere estesa anche ai ragazzi ed alle ragazze dei licei.
5.    Il documento sembra presentare un eccesso di “istruzionismo” trascurando quella che forse è la vera emergenza: la crisi etica ed educativa della nostra società.
Anche io sono intervenuto nella discussione e ho cercato di portare un contributo segnalando quelle che, a mio parere, sono due importanti dimenticanze del documento che pure ha il merito di aver rilanciato una riflessione ampia e partecipata sul nostro sistema scolastico.
Le dimenticanze riguardano due settori a torto considerati come “marginali” del nostro sistema scolastico.
Il primo è quello della Scuola dell’Infanzia: non mi sembra di avervi trovato accenni nel documento. Eppure l’esperienza e anche la ricerca nazionale ed internazionale da molto tempo ormai ne hanno segnalato l’importanza individuando anzi proprio nella frequenza della Scuola dell’Infanzia un fattore decisivo di riduzione del rischio di insuccesso scolastico nei gradi successivi. E la situazione italiana non è proprio brillante: come ha rilevato l’Unicef in una ricerca del 2008 il nostro paese rispetta i parametri minimi solo di quattro dei dieci indicatori della qualità dei servizi per la prima infanzia. Non può certo consolarci il fatto che altri paesi (come gli Stati Uniti) siano in una situazione peggiore della nostra. Si vedano, a tale proposito, le riflessioni che Norberto Bottani ha dedicato a questa tematica. In realtà il nostro paese non pare che abbia una vera e propria politica per l’infanzia nonostante tutte le affermazioni dei politici che hanno proclamato la difesa della famiglia quale pilastro della propria azione di governo. Ci si augura che il Disegno di Legge n. 1260 attualmente in discussione al Senato possa speditamente condurre alla nascita di una vera e propria politica organica per la prima infanzia con un forte investimento di risorse. Il nostro paese ne ha davvero bisogno.
La seconda dimenticanza concerne invece l’educazione degli adulti. Anche di questo importante settore del nostro sistema scolastico non ho trovato traccia nel documento “La buona scuola”. Eppure anche in questo caso si tratta di un tema centrale e fondamentale che dovrebbe costituire occasione di riflessione e di stimolo specie in un’epoca come la nostra caratterizzata da processi quali la crescita dell’immigrazione, la crisi economica, le profonde e rapidissime trasformazioni culturali e tecnologiche. Sono perciò da condividere alcune delle osservazioni che ha mosso al documento Fiorella Farinelli, che ne ha sottolineato principalmente i silenzi relativamente alle tematiche dell’intercultura. Un investimento sull’educazione degli adulti consentirebbe da un lato di offrire “una seconda possibilità” a quei ragazzi in qualche modo sfuggiti al normale percorso formativo e che, in gran parte, appartengono alle categorie a più alto rischio e, dall’altro, di sviluppare politiche di accoglienza e inclusione per chi proviene da altre culture. I segnali, a questo proposito, non sono proprio incoraggianti: lo testimonia, tra l’altro, la scelta di transitare dagli attuali CTP (Centri Territoriali Permanenti per l’educazione degli adulti – decentrati su base distrettuale e ospitati per lo più presso degli istituti comprensivi) ai futuri CPIA (Centri Provinciali d’Istruzione per Adulti – dotati di autonomia e perciò con un proprio personale, un proprio dirigente scolastico, delle proprie risorse un proprio bilancio) senza un minimo investimento di risorse (umane, finanziarie, materiali).

Spero che il futuro ci porti una maggiore attenzione a questi due importanti settori del nostro sistema scolastico penalizzati forse perché hanno una minore visibilità rispetto agli altri e, di conseguenza, ancora troppo trascurati.

1 commento:

  1. Per “seguire il filo di ciò che non c’è” nella Buona Scuola, come ribadisce il titolo dell’articolo di Fiorella Farinelli sopra segnalato, riflettevo sull’assenza nel documento dell’italiano.
    Nel quarto capitolo (“Ripensare ciò che si impara a scuola”) si parla dell’insegnamento della musica, della storia dell’arte, dello sport, delle lingue straniere, delle nuove tecnologie, dell’economia. Non una parola sull’italiano, forse disciplina troppo scontata, ma che nella scuola di oggi deve fare lo sforzo di coniugare conoscenze indispensabili, come la grammatica, l’affinamento delle abilità di base (ascoltare, parlare, leggere e scrivere), con le suggestioni che arrivano dalla società e che devono assolutamente stimolare il docente ad attualizzare i contenuti da proporre ad alunni sempre più distratti e disinteressati.
    Proprio per questo e per altro ancora nella Buona Scuola era necessario uno sguardo attento a una disciplina ricca, forse troppo ricca e non sempre di facile inquadramento, ma che sicuramente è parte di “ciò che si impara a scuola”.
    Per riflettere sul ruolo dell’insegnante nella scuola di oggi, consiglio la lettura del libro di Massimo Recalcati “L’ora di lezione” (Einaudi) che ho letto con piacere e da cui traggo questa frase: “Un insegnamento degno di questo nome non inquadra, non uniforma, non produce scolari, ma sa animare il desiderio di sapere.”

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