(immagine
da www.librimondadori.it/)
Sono trascorsi esattamente
trent’anni da quando fu pubblicato la prima volta il romanzo di William Gibson,
Neuromante
(Neuromancer). Si tratta di un’opera
importante perché è considerata la capostipite di un vero e proprio genere
letterario, il cyberpunk. Neuromante
forse non è un grande capolavoro letterario: lo stile è per me a volte troppo
“barocco” e faccio fatica a seguire il filo della narrazione a causa delle
numerose espressioni gergali. Altri romanzi cyberpunk sono forse più riusciti
sul piano letterario. Ma si tratta comunque un’opera fondamentale. A differenza
di altri romanzi dello stesso genere, infatti, possiede una straordinaria
capacità profetica. Anticipa
cioè, in maniera davvero sconvolgente, alcuni degli scenari del nostro attuale
presente, ben difficili da prevedere trent’anni fa.
Il
cyberspazio, innanzitutto. Molto prima che nascesse il World Wide Web Gibson ci
parla di una realtà virtuale nella quale una rete universale di dati ha creato
un ambiente artificiale all’interno del quale gli umani possono entrare e
viaggiare, vivendo sensazioni ed emozioni. Viene tratteggiato poi il dominio
pervasivo delle grandi multinazionali dell’informazione che sfruttano il potere
loro fornito dal controllo dei grandi archivi di dati. E, non ultime, le radicali
modifiche che la tecnologia ha apportato alla vita degli uomini, modifiche che
non erano state previste dai suoi creatori. “La strada trova da sola i suoi usi delle cose”: i corpi sono dotati
di protesi meccaniche mentre droghe sintetiche e ingegneria neuronale
modificano i cervelli delle persone.
La
visione cyberpunk è manifestamente pessimistica, nella più genuina tradizione
distopica della science fiction americana: “è
la constatazione che la tecnologia non possiede
un'intrinseca natura se non quella che le viene dai più profondi istinti umani.
E poiché nell'intimo siamo ancora più propensi alla sopraffazione che
all'altruismo, ecco che la tecnologia (apparentemente pacifica) del XXI secolo
può metterci in catene. Non a caso i
protagonisti dei romanzi sono degli hacker solitari che vivono ai margini della
società, in costante fuga da questa cupa realtà e, in qualche misura, la
combattono.” (Nicola
La Gioia, "Neuromante", quel capolavoro rivoluzionario che ha
anticipato il XXI secolo)
Non
potevo non collegare l’anniversario di questo romanzo ad un articolo apparso
qualche giorno fa su l’Espresso: Siamo
tutti sudditi di Google e Facebook. Si tratta di un articolo che
evidenzia il potere acquisito dalle aziende della Silicon Valley “attraverso il controllo dei dati
personali di miliardi di persone e dall’immensa forza derivante dal fatto che i
loro prodotti - motori di ricerca, mail, social network etc - sono sempre più
indispensabili nella vita quotidiana di tutti. E se oggi si facesse un
referendum per chiedere se rinunciare a Facebook o al Parlamento, chissà come
andrebbe a finire”. Appare uno scenario più simile all’universo
distopico di Neuromante che non a quello ottimista descritto da qualche guru
del web. Un’analisi altrettanto lucida la possiamo trovare anche nel libro di Federico
Rampini, Rete Padrona, la cui lettura consiglio caldamente a chi vuole
avere un’idea precisa e critica di dove ci può condurre una tecnologia dell’informazione
e della comunicazione senza regole.
Cosa
c’entra la scuola in tutto questo? Io credo che rivesta un ruolo molto
importante. Deve cercare di resistere alla tentazione delle sirene che illudono
che nelle tecnologie ci siano tutte le scorciatoie per risolvere ogni problema
di insegnamento ed apprendimento. Deve, soprattutto, educare. Educare all’uso
critico e critico della tecnologia, che consenta di rendere la vita migliore a
tutti noi e non ci renda dei consumatori dipendenti in balia del potere di
pochi.
Come non pensare al romanzo 1984 di G. Orwell, dove “la libertà è schiavitù”.
RispondiElimina<>
In effetti è la stessa tradizione distopica anglosassone
Elimina