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mercoledì 17 settembre 2014

A proposito di docenti



Ancora una volta un’interessante puntata di Fahrenheit pone stimolanti elementi di riflessione.
Cosa fa buona la scuola? I bravi maestri? Le metodologie efficaci? L'impegno e i sogni di chi studia? 
La discussione è centrata sulla professione dell’insegnante con l’intervento di una prossima laureanda in Scienze della Formazione Primaria, di un insegnante della primaria (Carlo Lorenzoni che noi conosciamo bene come animatore della casa laboratorio di Cenci) e di un docente universitario di Storia della Pedagogia e dell’Educazione.
Qualche tema: per fare bene un lavoro occorre la passione. Se non la si possiede o la si è persa sarà molto difficile riuscire a stimolare l’apprendimento presso gli alunni. I bambini sono molto più recettivi ai linguaggi non verbali rispetto a quello verbale per cui percepiscono benissimo se la persona che hanno di fronte svolge la sua attività con entusiasmo e convinzione. Del resto, poi, l’emozione provata la prima volta che ci si accosta ad un apprendimento ne condiziona in maniera molto forte gli esiti futuri.
Altro spunto: la scuola deve essere migliore della società. Non deve esserne, cioè, un semplice specchio ma deve essere più tollerante, più equa, più accogliente, più inclusiva. Ma, comunque, non sono solo la scuola e gli insegnanti ad educare ma anche il contesto e l’ambiente rivestono un ruolo determinante. Quale cura e quale interesse nei suoi confronti può percepire un alunno se si trova in una scuola con i muri sporchi, con le suppellettili e gli arredi degradati, in un contesto di abbandono e di trascuratezza? Ma di questo ho già parlato nel mio post di ieri.
Un intero capitolo (il secondo) de “La buona scuola” è dedicato alla questione degli insegnanti. Mi sembra di capire che ci sia sicuramente la volontà di rimotivare gli insegnanti (far loro ritrovare cioè la passione per il proprio lavoro) attraverso il riconoscimento del merito. Il principio mi sembra condivisibile perché l’appiattimento sulla progressione di carriera basata solo ed esclusivamente sull’anzianità di fatto ha prodotto demotivazione e stagnazione. Il problema principale, credo, consista nel come riconoscere il merito. Il documento (pag. 52) propone tre sistemi di crediti da documentare in un portfolio e da valutare da parte di un nucleo di valutazione interno alla scuola: crediti didattici, crediti formativi e crediti professionali.
Penso che vada apprezzato il fatto che sono considerati i crediti didattici, vale a dire quelli che concernono “la qualità dell’insegnamento in classe e alla capacità di migliorare il livello di apprendimento degli studenti. Contribuiranno a far emergere le migliori prassi di insegnamento, assicurando innovazione didattica e, allo stesso tempo, attenzione per le specificità disciplinari”.
Si tratta, insomma, della quotidianità del lavoro di classe, di quello che si fa con i ragazzi, dei risultati educativi e didattici che si raggiungono.
Sono numerosi però gli interrogativi, che riguardano molto il “come” valutare questi crediti. Da chi sarà composto il nucleo di valutazione? Quale ruolo avrà il dirigente scolastico? Come potranno essere documentati questi particolari crediti? Con i lavori dei ragazzi? Con una relazione? È giusto valutare il singolo docente o forse sarebbe meglio valutare il team docente dal momento che si dovrebbe lavorare in squadra e non individualmente?
Vedremo se dalla discussione avviata, alla quale tutti possono partecipare, usciranno delle proposte praticabili.

Cercherò, nei prossimi giorni, di portare un mio contributo riprendendo gli esiti di una ricerca che qualche anno fa ha svolto l’USR Abruzzo sul tema della valutazione dell’insegnamento.

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