Capita a volte che
un’espressione, una frase all’interno di una conversazione illumini un’idea che
avevamo già da tempo, che avevamo già percepito ma che non riuscivamo ancora ad
esprimere.
Qualcosa di simile mi è
capitato qualche giorno fa. Due genitori sono venuti a ringraziarmi per come
era stato accolto il proprio figlio disabile all’interno della nostra scuola.
Mi hanno, in particolare, detto che erano rimasti molto colpiti e commossi dal
comportamento spontaneo delle docenti che non hanno avuto bisogno di tante
spiegazioni e suggerimenti su come loro stesse e la classe avrebbero dovuto comportarsi all’ingresso del
bambino: con la massima naturalità lo hanno fatto entrare nell’aula e lo
hanno inserito nelle varie routine e
nelle varie attività facendolo sentire come se da sempre fosse parte integrante
di quel gruppo.
Le parole di quei genitori
hanno portato alla mia consapevolezza alcune idee che già da tempo mi giravano
per la testa ma che non ero ancora riuscito ad esprimere bene. La prima è che l’inclusione
consiste in un modo d’essere piuttosto che in una serie di misure organizzative
e di precetti comportamentali.
La seconda riguarda il “clima” della scuola –
intendendo per clima non certo le precipitazioni e la temperatura ma le
relazioni tra i bambini, tra gli adulti e tra questi e i bambini. È la qualità
di queste relazioni che rende inclusiva o non inclusiva una scuola.
La terza
idea concerne, infine, la cultura di una scuola: è costituita da quelle
convinzioni, spesso inconsce, che influiscono sulle relazioni e sui
comportamenti, che forniscono loro i significati con i quali i membri della
comunità (alunni, docenti, ATA, genitori) li interpretano. La cultura di una
scuola è diversa da quella di un’altra, si forma nel tempo, condiziona in
maniera determinante il clima che si respira.
I genitori con cui ho
parlato mi hanno fatto capire che nella loro percezione la scuola che dirigo si
sta dimostrando davvero inclusiva. È uno dei migliori complimenti che abbia mai
ricevuto per la mia attività professionale. Ma il merito non è solo mio: è
soprattutto del personale docente ed ATA, dei bambini e di tutti i genitori che
sono convinti che una scuola davvero inclusiva sia la migliore per i propri
figli.
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