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giovedì 2 ottobre 2014

Generazione “I like”


Sono stati pubblicati nei giorni scorsi i risultati dell’indagine che tutti gli anni svolge la Società Italiana di Pediatria su “Le abitudini e gli stili di vita degli adolescenti”.
L’indagine ha interessato un campione nazionale di 2107 ragazzi (1073 maschi – 1034 femmine) frequentanti la classe terza della secondaria di primo grado. Del campione facevano parte anche gli alunni di due classi del nostro istituto comprensivo per cui i dati sono per noi particolarmente significativi.
Cosa emerge da questa indagine?
Ormai quasi tutti i ragazzi di quest’età (81%) utilizzano Internet tutti i giorni. Il 93% lo utilizza attraverso lo smartphone che ha, di fatto, soppiantato il PC quale strumento di collegamento con il web. Cosa implica tutto ciò? “La quasi totalità degli adolescenti […] ha internet sempre a portata di mano, in qualunque momento della giornata. E internet, salvo qualche sporadico utilizzo, vuol dire essenzialmente social network.” Attraverso l’utilizzo massiccio del social network “… gli adolescenti, ma oggi sempre di più tantissimi preadolescenti alla soglia delle scuole medie, esercitano le loro sperimentazioni sociali, talvolta intrecciate talvolta no, con la vita reale. Con tutti i rischi che ciò  comporta.”
Ma se fino a qualche tempo fa social network voleva dire soprattutto Facebook, emerge oggi dall’indagine che sono utilizzati massicciamente anche altri strumenti, primo fra tutti WhatsApp, che non è solo un tool di messaggistica, ma può essere utilizzato a tutti gli effetti come un potente "social". E WhatsApp ha superato Facebook presso gli adolescenti. Il dato è molto preoccupante perché il controllo sulla messaggistica di WhatsApp, da parte dei genitori, è praticamente impossibile.
I comportamenti a rischio (contatti con sconosciuti, selfie provocanti, comunicazione di dati personali, ecc.) sono molto presenti e, inoltre, l’utilizzo pervasivo dello smartphone in tutte le ore del giorno ha delle conseguenze negative sulla salute.
“L’indagine ha indagato i rischi dell’abuso, mettendo a confronto le abitudini di coloro che frequentano più di tre social con quelle di coloro che non li frequentano o al massimo ne frequentano uno (normalmente Facebook o WhatsApp). E i risultati mostrano che i primi sono più inclini ad avere comportamenti a rischio, non solo sul solo web (per esempio postare una foto provocante), ma anche nella vita reale.” Questo dato, a mio parere, è dubbio perché potrebbe essere interpretato in maniera esattamente opposta: forse chi rientra per altre ragioni nelle categorie a rischio è portato ad un uso maggiore dei social network.
Nel report dell’indagine è citata un’affermazione dello psicoterapeuta Fulvio Scaparro: ““Ben venga un cauto utilizzo dei social. Ma non dobbiamo dimenticare che i ragazzi, a 13 anni, sono solo all’inizio della loro vita e benché grandi esperti di tecnologia sono ancora degli sprovveduti quanto a esperienza reale. Il punto è che hanno a disposizione strumenti potentissimi, attraverso i quali entrano in contatto con il mondo, ma con la modesta attrezzatura di vita di un tredicenne. Dietro la vetrina dei social possono far credere di essere ciò che non sono, possono compensare le fragilità con l’aggressività, atteggiarsi, distinguersi: il rapporto con se stessi può essere falsato perché sono proiettati non sulla vita reale ma su un palcoscenico virtuale costituito da migliaia di sconosciuti. Ma soprattutto quello che manca è il confronto con il fallimento. La vita si impara vivendo, esponendosi al fallimento, ecco perché dobbiamo spingere i nostri ragazzi a uscire, a fare sport, a confrontarsi con gli altri”.

In questo blog mi sono occupato di queste tematiche anche in altre occasioni. Mi sembra che l’importanza e l’urgenza della situazione che i nostri ragazzi stanno vivendo ci imponga di rafforzare il compito educativo della scuola che consiste nel fornire loro maggiori e più potenti strumenti critici. Forse in questi ultimi anni la corsa verso la dotazione tecnologica (reti, Lim, tablet, ecc.) ci ha fatto dimenticare e mettere da parte quello che è la vera missione della scuola. È il momento di riprenderci la pedagogia!

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