In una puntata
di Fahrenheit si discute su di un tema di sicuro interesse soprattutto per
gli educatori: quali modifiche sul nostro cervello produce l’utilizzo massiccio
delle tecnologie digitali? Lo spunto per la discussione è la pubblicazione di
un articolo di Antonello Guerrera “Imparare
al tempo del web” il quale, a sua volta, commenta una pubblicazione del
saggista americano Nicholas
Carr “The Glass Cage”. Carr già in passato si era occupato di questi
temi in particolare con un saggio, tradotto in italiano nel 2011, dal titolo “Internet ci
rende stupidi?”. Il nostro cervello, come è noto, è caratterizzato da
una notevole dose di plasticità per cui le esperienze che viviamo ne possono
modificare profondamente la struttura. Le tecnologie digitali, in
particolare, inibiscono o danneggiano secondo Carr alcune fondamentali facoltà
cerebrali e cognitive quali la memoria (perché perdere tempo a
memorizzare dati e nozioni sempre disponibili in rete?) e l’attenzione
(con il multitasking ci occupiamo contemporaneamente di più cose e di tutte,
però, in maniera superficiale).
La questione relativa alle modifiche che l’utilizzo
di una nuova tecnologia introduce nel nostro cervello, in realtà, non è
assolutamente nuova. Se ne era occupato addirittura Platone che, nel V sec. a.
C., aveva fatto criticare da Socrate l’introduzione della scrittura che, a suo
parere, avrebbe comportato la fine della capacità di memorizzazione le
informazioni da parte degli uomini. Avendo a disposizione un supporto materiale
su cui trattenere le grandi narrazioni, i grandi pensieri, i grandi discorsi l'umanità non
avrebbe più esercitato la funzione della memoria che si sarebbe ben presto
inaridita. In realtà le osservazioni di Platone, come hanno già da tempo messo
in rilievo gli storici della filosofia antica, sono frutto di quel grande
cambiamento culturale che avveniva in quegli anni nel mondo mediterraneo e che
segnava il passaggio dalla
cultura orale alla civiltà della scrittura.
La puntata di Fahrenheit si occupa di questo tema
avendo una particolare attenzione rivolta all’apprendimento ed alla scuola con
gli interventi di due dei maggiori esperti italiani: Giuseppe Riva e Paolo Ferri.
In effetti sono numerosi gli aspetti toccati
dalla trasmissione che invito sicuramente a scaricare ed ascoltare. Credo cha
di alcuni di essi parlerò anche in altri post di questo blog.
Oggi, però, vorrei soffermarmi principalmente su
di una questione: quali evidenze scientifiche e sperimentali abbiamo delle
conseguenze sul nostro cervello dell’uso delle tecnologie digitali? Qui ci
viene in soccorso di una serissima ricerca pubblicata nel 2013 dall’Academié
des sciences dal titolo: “L’enfant et les écrans” (“Il bambino e gli schermi”). La ricerca –
interessantissima e ricca di indicazioni per educatori, genitori ed insegnanti –
afferma che i media digitali effettivamente modificano la nostra mente e che
quindi i “nativi digitali” (i bambini e le bambine cioè nati in un’epoca in cui
le tecnologie digitali sono pervasive) hanno una struttura mentale diversa
rispetto a quella di chi, come noi adulti, pur vivendo immersi in questi nuovi
media, ci siamo formati in un’epoca nella quale gli strumenti di informazione e
comunicazione erano altri e si basavano soprattutto sul testo scritto. Questa
vera e propria rivoluzione ha prodotto sulla mente effetti positivi e negativi.
“Tra gli effetti positivi c’è lo stimolo
all’atteggiamento deduttivo. Vale a dire che il bambino impara a dedurre i
concetti, dalle immagini, attraverso un ragionamento logico. Partendo da una
premessa, giunge a conclusioni razionali, ovvero sviluppa la capacità di
stabilire correlazioni e perfino di ipotizzare delle previsioni. Gli schermi
digitali, dunque, risultano essere un buon allenamento per la logica.
Ovviamente, nel ragionamento deduttivo, le leggi di riferimento da cui si parte
sono basilari: basta che una sola di esse sia inverificata o inverificabile e
tutto crolla. Tra gli effetti negativi, invece, c’è una mortificazione del
ragionamento di tipo induttivo, ovvero quello che poggia sulla capacità di
osservare fatti e informazioni per formulare ipotesi. Basilari, per il
ragionamento induttivo, sono l’osservazione, la capacità di ricerca e di
esplorazione, nonché l’inventiva personale. Se il ragionamento induttivo non
viene allenato, la mente del bambino acquisisce unicamente competenze razionali”.
(Tiziana Bruno, “Buone pratiche didattiche nell’era
digitale, a casa e a scuola”).
È evidente che questo dato di fatto obbliga chi
opera nel mondo della scuola a fare delle riflessioni importanti: cosa implica
tutto ciò nei processi di insegnamento e di apprendimento?
Il fenomeno degli adolescenti digitali è in crescita e va monitorato, studiato e discusso.
RispondiEliminaCome sopra esposto, si tratta di individuare quali sono gli effetti positivi e negativi.
Io vorrei aggiungere qualche spunto di riflessione sulle problematiche derivanti dall’era digitale.
L’uso massiccio delle tecnologie produce inevitabilmente un impoverimento di abilità, un tempo indiscusse: la calligrafia (al posto dei word processing), la grammatica (al posto del correttore orografico), il calcolo aritmetico (al posto delle calcolatrici), il leggere (al posto del guardare).
Ma soprattutto il pericolo maggiore è quello della riduzione dei processi sociali (reali e non virtuali).
“Essere esposti non al mondo, ma alla visione del mondo, o se si preferisce “essere digitali” incide sul nostro modo di fare esperienza, che non è un fatto del tutto trascurabile. Il mondo può diventare illeggibile per overdose di informazioni e l’uomo può perdere il bene più prezioso che è la capacità di fare esperienza” (Galimberti, il mito delle tecnologie)