Credo
che sia opportuna una lettura attenta del documento "La buona scuola"
per riflettere sui numerosi temi che ne costituiscono l'ossatura e anche per
partecipare informati e consapevoli alla consultazione che si terrà a partire
dal prossimo 15 settembre.
Un
primo interessante spunto di riflessione è sicuramente offerto dal capitolo 4
dal titolo “Ripensare ciò che si impara a scuola”.
Viene
qui proposta (pag. 97) la realizzazione di un piano nazionale che preveda l’introduzione
del coding (la programmazione) nella nostra scuola. Si tratta di una novità
importante che vorrei sottolineare: i nostri ragazzi - piuttosto che semplici
fruitori del digitale – dovranno diventare produttori digitali, in grado cioè
di programmare le macchini piuttosto che esserne programmati. Nel testo si
parla anche di “consapevolezza digitale”,
di “uso positivo e critico dei social
media e degli altri strumenti della rete”.
A mio
parere si tratta di una piccola rivoluzione che ha il grande merito di
riprendere alcuni dei più interessanti elementi di riflessione critica che sono
stati prodotti negli ultimi anni. Mi riferisco, ad esempio, ai lavori di DouglasRushkoff (il più significativo dei quali ritengo che sia “Programma o sarai programmato”) che ci avverte dei condizionamenti
profondi che l’utilizzo passivo delle nuove tecnologie produce sulle nostre
vite. “È una faccenda molto importante.
Non è come saper aggiustare un’automobile; è piuttosto paragonabile al saper guidare un’automobile, o a
guardare fuori dal finestrino. Se non sai niente di programmazione, allora sei
seduto nel retro della macchina e devi confidare nel fatto che chi guida ti
porti dove veramente vuoi andare. E visto chi sta alla guida dell’automobile
oggi, io non penso che le cose stiano così.” (DouglasRushkoff e l’importanza del codice sorgente)
Imparare
a programmare, quindi, riveste un’importantissima valenza educativa se
veramente vogliamo creare dei futuri cittadini liberi e consapevoli.
Ma c’è
un secondo filone di riflessione che vorrei sottolineare ed è quello che fa
capo alle ricerche di Seymour Papert. “È
il bambino che deve programmare il computer e non il computer che deve
programmare il bambino”. Il computer è una potente macchina per imparare se
utilizzata in modo costruttivo, se cioè consente al bambino di essere
costruttore del proprio apprendimento. Ed è proprio sulla base delle sue
proposte che già dagli anni ottanta la programmazione (il coding) era stata
introdotta nella scuola. Qualcuno forse ricorderà il Logo, il linguaggio di
programmazione ideato proprio da Papert, che è stato utilizzato per anni dai
bambini della primaria. Che fine hanno fatto queste attività? Che eredità hanno
lasciato?
Un’ ultima considerazione, sempre a proposito delle
tecnologie nella scuola. Leggo a pag. 74 de “La buona scuola”: “Il processo di digitalizzazione della scuola
è stato troppo lento, non solo per mancanza di risorse pubbliche. Abbiamo anche
investito in tecnologie troppo “pesanti”, come le Lavagne Interattive
Multimediali (le famose “LIM”), che hanno da una parte ipotecato l’uso delle
nostre risorse per innovare la didattica, dall’altra parzialmente “ingombrato”
le nostre classi, spaventando alcuni docenti.”
Condivido questa considerazione anche e soprattutto
perché sono convinto che le LIM siano, fondamentalmente, della macchine per
insegnare – utili cioè principalmente al lavoro di spiegazione del docente - mentre
i nostri ragazzi hanno bisogno soprattutto di macchine per imparare. Di
dispositivi, cioè, che possano utilizzare individualmente e in modo
costruttivo.
Su questi temi segnalo la puntata di Radio3 Scienza con interventi di Piergiorgio
Odifreddi, Marco Montanari e Leonardo De Cosmo.
L’era digitale sta trasformando il mondo, e la nostra vita è legata sempre più alle tecnologie e all’informatica.
RispondiEliminaIn questi ultimi anni le scuole hanno attrezzato con gran fatica i laboratori informatici e hanno promosso gli apprendimenti con l’uso delle tecnologie: l’uso di Internet per navigare sulla rete, del foglio Excel per il calcolo, del software Geogebra per i concetti geometrici, la LIM per la multimedialità, ecc…
Finora l’informatica nella scuola dell’obbligo ha avuto un ruolo prevalentemente trasversale e tecnico. E’ ora che essa assuma anche un ruolo formativo e culturale di disciplina, per poter familiarizzare con il concetto di algoritmo, di fondamentale importanza in campo matematico e informatico. Si tratta quindi di sviluppare il “pensiero computazionale” per la scomposizione di un problema in sottoproblemi di dimensione ridotta e la generalizzazione delle informazioni.
Penso ad esempio ad un problema di ottimizzazione (come nel caso del progetto Mathenjeans realizzato due anni fa); penso anche alle Olimpiadi di problem solving oppure al linguaggio di programmazione Logo o alla robotica. Tutti strumenti didattici che favoriscono una “consapevolezza digitale” e un percorso di apprendimento creativo.
Dai primi commenti emerge la preoccupazione di appesantire, con dei nuovi contenuti, dei curricula già di per sé molto densi. Il problema è rilevante soprattutto nella secondaria di primo grado nella quale occorre snellire e rendere più efficace il curricolo. Come innovare evitando la logica dell'accrescimento? Una bella sfida...
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