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venerdì 17 ottobre 2014

Adolescenti digitali

In una puntata di Fahrenheit si discute su di un tema di sicuro interesse soprattutto per gli educatori: quali modifiche sul nostro cervello produce l’utilizzo massiccio delle tecnologie digitali? Lo spunto per la discussione è la pubblicazione di un articolo di Antonello Guerrera “Imparare al tempo del web” il quale, a sua volta, commenta una pubblicazione del saggista americano  Nicholas Carr “The Glass Cage”. Carr già in passato si era occupato di questi temi in particolare con un saggio, tradotto in italiano nel 2011, dal titolo “Internet ci rende stupidi?”. Il nostro cervello, come è noto, è caratterizzato da una notevole dose di plasticità per cui le esperienze che viviamo ne possono modificare profondamente la struttura. Le tecnologie digitali, in particolare, inibiscono o danneggiano secondo Carr alcune fondamentali facoltà cerebrali e cognitive quali la memoria (perché perdere tempo a memorizzare dati e nozioni sempre disponibili in rete?) e l’attenzione (con il multitasking ci occupiamo contemporaneamente di più cose e di tutte, però, in maniera superficiale).
La questione relativa alle modifiche che l’utilizzo di una nuova tecnologia introduce nel nostro cervello, in realtà, non è assolutamente nuova. Se ne era occupato addirittura Platone che, nel V sec. a. C., aveva fatto criticare da Socrate l’introduzione della scrittura che, a suo parere, avrebbe comportato la fine della capacità di memorizzazione le informazioni da parte degli uomini. Avendo a disposizione un supporto materiale su cui trattenere le grandi narrazioni, i grandi pensieri, i grandi discorsi l'umanità non avrebbe più esercitato la funzione della memoria che si sarebbe ben presto inaridita. In realtà le osservazioni di Platone, come hanno già da tempo messo in rilievo gli storici della filosofia antica, sono frutto di quel grande cambiamento culturale che avveniva in quegli anni nel mondo mediterraneo e che segnava il passaggio dalla cultura orale alla civiltà della scrittura.
La puntata di Fahrenheit si occupa di questo tema avendo una particolare attenzione rivolta all’apprendimento ed alla scuola con gli interventi di due dei maggiori esperti italiani: Giuseppe Riva e Paolo Ferri.
In effetti sono numerosi gli aspetti toccati dalla trasmissione che invito sicuramente a scaricare ed ascoltare. Credo cha di alcuni di essi parlerò anche in altri post di questo blog.
Oggi, però, vorrei soffermarmi principalmente su di una questione: quali evidenze scientifiche e sperimentali abbiamo delle conseguenze sul nostro cervello dell’uso delle tecnologie digitali? Qui ci viene in soccorso di una serissima ricerca pubblicata nel 2013 dall’Academié des sciences dal titolo: “L’enfant et les écrans (“Il bambino e gli schermi”). La ricerca – interessantissima e ricca di indicazioni per educatori, genitori ed insegnanti – afferma che i media digitali effettivamente modificano la nostra mente e che quindi i “nativi digitali” (i bambini e le bambine cioè nati in un’epoca in cui le tecnologie digitali sono pervasive) hanno una struttura mentale diversa rispetto a quella di chi, come noi adulti, pur vivendo immersi in questi nuovi media, ci siamo formati in un’epoca nella quale gli strumenti di informazione e comunicazione erano altri e si basavano soprattutto sul testo scritto. Questa vera e propria rivoluzione ha prodotto sulla mente effetti positivi e negativi. “Tra gli effetti positivi c’è lo stimolo all’atteggiamento deduttivo. Vale a dire che il bambino impara a dedurre i concetti, dalle immagini, attraverso un ragionamento logico. Partendo da una premessa, giunge a conclusioni razionali, ovvero sviluppa la capacità di stabilire correlazioni e perfino di ipotizzare delle previsioni. Gli schermi digitali, dunque, risultano essere un buon allenamento per la logica. Ovviamente, nel ragionamento deduttivo, le leggi di riferimento da cui si parte sono basilari: basta che una sola di esse sia inverificata o inverificabile e tutto crolla. Tra gli effetti negativi, invece, c’è una mortificazione del ragionamento di tipo induttivo, ovvero quello che poggia sulla capacità di osservare fatti e informazioni per formulare ipotesi. Basilari, per il ragionamento induttivo, sono l’osservazione, la capacità di ricerca e di esplorazione, nonché l’inventiva personale. Se il ragionamento induttivo non viene allenato, la mente del bambino acquisisce unicamente competenze razionali”. (Tiziana Bruno, “Buone pratiche didattiche nell’era digitale, a casa e a scuola).
È evidente che questo dato di fatto obbliga chi opera nel mondo della scuola a fare delle riflessioni importanti: cosa implica tutto ciò nei processi di insegnamento e di apprendimento?

1 commento:

  1. Il fenomeno degli adolescenti digitali è in crescita e va monitorato, studiato e discusso.
    Come sopra esposto, si tratta di individuare quali sono gli effetti positivi e negativi.
    Io vorrei aggiungere qualche spunto di riflessione sulle problematiche derivanti dall’era digitale.
    L’uso massiccio delle tecnologie produce inevitabilmente un impoverimento di abilità, un tempo indiscusse: la calligrafia (al posto dei word processing), la grammatica (al posto del correttore orografico), il calcolo aritmetico (al posto delle calcolatrici), il leggere (al posto del guardare).
    Ma soprattutto il pericolo maggiore è quello della riduzione dei processi sociali (reali e non virtuali).
    “Essere esposti non al mondo, ma alla visione del mondo, o se si preferisce “essere digitali” incide sul nostro modo di fare esperienza, che non è un fatto del tutto trascurabile. Il mondo può diventare illeggibile per overdose di informazioni e l’uomo può perdere il bene più prezioso che è la capacità di fare esperienza” (Galimberti, il mito delle tecnologie)

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