Alzare gli sguardi
Di solito
seguo poco e distrattamente le vicende della chiesa cattolica. Ho poco tempo e lo devo,
adesso, dedicare maggiormente ad altre tematiche.
Mi ha
però colpito molto, ieri, vedere il Papa Francesco parlare in uno senario unico
e, spero, irripetibile: da solo, con le la pioggia e l’imbrunire che scuriva il
colonnato di una piazza san Pietro vuota, con il suono delle sirene delle
ambulanze in sottofondo.
Ho
voluto, perciò leggere il testo completo del suo intervento.
È stata
una bellissima lettura. Ho trovato in alcune delle cose che ha detto molta
risonanza dei miei pensieri di questi giorni.
Innanzitutto
il senso di sgomento che tutti, credenti o meno, abbiamo di fronte alla
tempesta di questa pandemia.
“La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e
lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le
nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra
come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e
dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo
scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito
l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini
apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di
evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria
per far fronte all'avversità”.
Ma l’esperienza terribile di questi giorni ci rivela
qualcosa.
“Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca,
tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari,
tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su
questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce
e nell'angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo
accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme.
[…] Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui
mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è
rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla
quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli”.
Papa Francesco continua dicendoci che è “tempo di
scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da
ciò che non lo è, […] di reimpostare la rotta della vita verso gli altri, […]
di guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno
reagito donando la propria vita […] medici, infermiere e infermieri,
addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze
dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno
compreso che nessuno si salva da solo”.
E poi: “Quanta
gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non
seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne,
insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come
affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi
e stimolando la preghiera”.
Mi fa molto
piacere che abbia ricordato gli insegnanti.
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