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sabato 28 marzo 2020


Alzare gli sguardi

Di solito seguo poco e distrattamente le vicende della chiesa cattolica. Ho poco tempo e lo devo, adesso, dedicare maggiormente ad altre tematiche.
Mi ha però colpito molto, ieri, vedere il Papa Francesco parlare in uno senario unico e, spero, irripetibile: da solo, con le la pioggia e l’imbrunire che scuriva il colonnato di una piazza san Pietro vuota, con il suono delle sirene delle ambulanze in sottofondo.
Ho voluto, perciò leggere il testo completo del suo intervento.
È stata una bellissima lettura. Ho trovato in alcune delle cose che ha detto molta risonanza dei miei pensieri di questi giorni.
Innanzitutto il senso di sgomento che tutti, credenti o meno, abbiamo di fronte alla tempesta di questa pandemia.
“La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all'avversità”.
Ma l’esperienza terribile di questi giorni ci rivela qualcosa.
“Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell'angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme. […] Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli”.
Papa Francesco continua dicendoci che è “tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è, […] di reimpostare la rotta della vita verso gli altri, […] di guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita […] medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo”.
E poi: “Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera”.
Mi fa molto piacere che abbia ricordato gli insegnanti.

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