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giovedì 26 marzo 2020

Il momento dell'audacia

Fa sentire la sua voce anche Alessandro Baricco, con un interessante intervento su Repubblica di oggi. Molti spunti intriganti, come suo stile.
Alcuni mi hanno colpito e mi hanno aiutato a riflettere sulle lezioni che ci sta dando la terribile emergenza che stiamo vivendo. Con la prospettiva, naturalmente, di persona di scuola.

Primo spunto: l’audacia (che dà anche il titolo al suo articolo).
Viene da un bel romanzo svedese. C'è la regina che decide di imparare ad andare a cavallo. Monta in sella. Poi chiede sprezzante al maestro d'equitazione se ci sono delle regole. Ed ecco cosa risponde lui: "Prima regola, prudenza. Seconda, audacia".
Bene, direi che con la prudenza ci stiamo dando un sacco da fare. Possiamo passare all'audacia. Dobbiamo passare all'audacia.
Se sei un medico, non so cosa possa voler dire essere audaci in questo momento, quindi non mi permetto di dare suggerimenti. Però so esattamente cosa significhi essere audaci, in questo momento, per gli intellettuali: mettere da parte la tristezza, e pensare: cioè capire, leggere il caos, inventariare i mostri mai visti, dare nomi a fenomeni mai vissuti, guardare negli occhi verità schifose e, dopo che hai fatto tutto questo, prenderti il rischio micidiale di dare a tutti qualche certezza. Al lavoro dunque, ognuno nella misura delle sue possibilità e del suo talento.
Cerco di seguire al suo invito. Anche chi opera nella scuola deve essere, a suo modo, anche audace in questa emergenza. Ma cosa vorrà dire, per un Dirigente Scolastico, essere audace nell’emergenza del Covid-19? In cosa si traduce? Bella domanda…

Secondo spunto: la civiltà digitale, quella che Baricco nel suo libro chiama “The Game”.
Stiamo facendo pace col Game, con la civiltà digitale: l'abbiamo fondata, poi abbiamo iniziato a odiarla e adesso stiamo facendo pace con lei. La gente, a tutti i livelli, sta maturando un senso di fiducia, consuetudine e gratitudine per gli strumenti digitali che si depositerà sul comune sentire e non se ne andrà più. Una delle utopie portanti della rivoluzione digitale era che gli strumenti digitali diventassero un'estensione quasi biologica dei nostri corpi e non delle protesi artificiali che limitavano il nostro essere umani: l'utopia sta diventando prassi quotidiana. In poche settimane copriremo un ritardo che stavamo cumulando per eccesso di nostalgia, timore, sospetto o semplice fighetteria intellettuale. Ci ritroveremo tra le mani una civiltà amica che riusciremo meglio a correggere perché lo faremo senza risentimento.
L’emergenza di prepotenza ha fatto entrare il digitale in modo diffuso e pervasivo nel mondo della scuola: dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria di secondo grado, dalle bambine e dai bambini di tre anni alle ragazze e ai ragazzi di 18 anni. Tutti i docenti i docenti sono stati costretti a utilizzare il digitale per fare didattica a distanza. Tutti hanno dovuto imparare. È un punto di non ritorno. Le diffidenze e le resistenze culturali da parte di qualcuno probabilmente resteranno ancora per qualche tempo ma niente sarà più come prima.

Terzo spunto: i rapporti umani.
Chiunque si è accorto di come gli manchino terribilmente, in questi giorni, i rapporti umani non digitali. Capovolgete questa certezza: vuol dire che ne avevamo un sacco, di rapporti umani. Mentre dicevamo cose tipo "ormai la nostra vita passa tutta dai device digitali", quello che facevamo era ammassare una quantità indicibile di rapporti umani. Ce ne accorgiamo adesso, ed è come un risveglio da un piccolo passaggio a vuoto dell'intelligenza. Non dimenticate la lezione, per favore. Anzi, aggiungetene un'altra: tutto questo ci sta insegnando che più lasceremo srotolare la civiltà digitale più assumerà valore, bellezza, importanza e perfino valore economico tutto ciò che ci manterrà umani: corpi, voci naturali, sporcizie fisiche, imperfezioni, abilità delle mani, contatti, fatiche, vicinanze, carezze, temperature, risate e lacrime vere, parole non scritte, e potrei andare avanti per righe e righe.
In questi giorni sto incontrano tramite video conferenza molti docenti delle mie due scuole. Mi accorgo che è sempre un piacere e una gioia rivederci in viso, parlare assieme, riprendere i contatti. Mi dicono anche che questo è quello che chiedono anche le bambine e i bambini delle scuole dell’infanzia e primaria. Per loro è importante sentite la voce o rivedere il viso dei propri insegnanti. Li rassicura, fa percepire loro che il legame affettivo e la relazione con le maestre e i maestri non si è interrotta, che c’è ancora. Anche le ragazze e i ragazzi della secondaria sono felici di constatare che la comunità della propria scuola c’è ancora, che non li ha abbandonati, che non li ha lasciati soli. Io ho molto insistito, nei messaggi che ho inviato ai docenti, sull’importanza di mantenere i contatti, sul riannodare i legami. Mi fa piacere scoprire che la mia non era una voce isolata. Stiamo riscoprendo che la scuola, innanzitutto, è una comunità, un luogo di relazioni importanti e significative delle quali non si può fare a meno. Credo che ultimamente ce n’eravamo un po’ dimenticati.
E questo mi fa fare un’ulteriore riflessione. Il digitale può essere “freddo” e può essere “caldo”. Freddo se si limita alla sola trasmissione e richiesta di dati (compiti, lezioni, schede di lavoro, ecc.), caldo se cerca, soprattutto, di costruire e mantenere una relazione. Da quello che vedo adesso c’è un forte bisogno di digitale caldo ma credo che sempre e comunque il digitale della scuola debba essere caldo…

Quarto spunto: la fiducia nelle persone competenti.
Una crepa che sembrava essersi aperta come una voragine, e che ci stava facendo soffrire, si è chiusa in una settimana: quella che aveva separato la gente dalle élites. In pochi giorni, la gente si è allineata, a prezzo di sacrifici inimmaginabili e in fondo con grande disciplina, alle indicazioni date da una classe politica in cui non riponeva alcuna fiducia e in una classe di medici a cui fino al giorno prima stentava a riconoscere una vera autorità anche su questioni più semplici, tipo quella dei vaccini. Una classe dirigente che non sarebbe mai riuscita a fare una riforma della scuola è riuscita a chiudere in casa un intero Paese. Cosa diavolo è successo? La paura, si dirà: e va bene. Ma non è solo quello. C'è qualcosa di più, qualcosa che ci aiuta a capirci meglio: nonostante le apparenze, noi crediamo nell'intelligenza e nella competenza, desideriamo qualcuno in grado di guidarci, siamo in grado di cambiare la nostra vita sulla base delle indicazioni di qualcuno che la sa più lunga di noi. La nostra rivolta contro le élites è temporaneamente sospesa, ma questo ci può aiutare a capirla meglio: noi crediamo nell'intelligenza, ma non più in quella dei padri; vogliamo la competenza ma non quella novecentesca; abbiamo bisogno di qualcuno che decida per noi, ma ci siamo immaginati che non venga da una casta imbambolata da sé stessa, stanca e incapace di rigenerarsi. Riassumo. Volevamo una nuova classe dirigente, continuiamo a volerla: possiamo aspettare, adesso non è il momento di fare casino. Ma ricominceremo a volerla il giorno stesso in cui questa emergenza si ricomporrà.
Baricco non parla di scuola, ma credo che quello che dice possa riferirsi anche al rapporto tra i docenti e le famiglie. I messaggi che ricevo in questo periodo da parte dei genitori sono fatti soprattutto di ringraziamenti perché si sono accorti che la scuola c’è e che sta facendo il suo dovere. Qualcuno si lamenta per l’eccessivo carico di lavoro cui sono sottoposti i ragazzi (specie della secondaria), qualcun altro vorrebbe che si utilizzassero strumenti sempre più avanzati (senza rendersi conto che nella classe ci sono compagni dei propri figli che a stento riescono a connettersi con lo smartphone), qualcuno, infine, è sparito - ma sono pochi, per fortuna.  Ma il tono complessivo è di riconoscenza e di fiducia. Fiducia nelle competenze dei docenti. La scuola, credo, sta uscendo bene da questa emergenza.

Quinto spunto: il futuro.
Non me ne intendo, ma ci vuol poco a capire che tutto quello che sta succedendo ci costerà un mucchio di soldi. Molto peggio della crisi economica del 2009, a fiuto. Vorrei dire una cosa: sarà un'opportunità enorme, storica. Se c'è un momento in cui sarà possibile redistribuire la ricchezza e riportare le diseguaglianze sociali a un livello sopportabile e degno, quel momento sta arrivando. Ai livelli di diseguaglianza sociale su cui siamo attualmente attestati, nessuna comunità è una comunità: fa finta di esserlo, ma non lo è. È un problema che mina alla base la salute del nostro sistema, che sbugiarda qualsiasi nostra ipotetica felicità e che si divora qualsiasi nostra credibilità, come un cancro. La difficoltà è che certe cose non si riformano, non si ottengono con un graduale, farmaceutico miglioramento, non si migliorano un tantino al giorno, a piccole dosi. Certe cose cambiano con un movimento di torsione violento, che fa male, e che non pensavi di poter fare. Certe cose cambiano per uno choc gestito bene, per una qualche crisi convertita in rinascita, per un terremoto vissuto senza tremare. Lo choc è arrivato, la crisi la stiamo soffrendo, il terremoto non è ancora passato. I pezzi ci sono tutti, sulla scacchiera, fanno tutti male, ma ci sono: c'è una partita che ci aspetta da un sacco di tempo. Che sciocchezza imperdonabile sarebbe avere paura di giocarla.
La crisi, anche nel mondo della scuola, sta rendendo ancora più evidente la diseguaglianza di risorse e soprattutto di opportunità di cui soffre la nostra società. Ne ho parlato in altri miei post. L’esperienza passata ci mostra che dalle crisi si può uscire ancora peggiori di quanto lo si fosse prima. Credo che dobbiamo mettercela tutta perché questo non accada. Ma non sarà facile…

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